Questa foto l'ho scattata al parco centrale di Essen, dopo un controllo di routine in clinica. Era la mattina del 19 giugno. Dopo una breve pausa nel parco, sono rientrato a casa. Poco dopo, il telefono squillò. Dall'altra parte, un medico del centro trapianti dell'Uniclinicum mi disse: "Devi venire subito in ospedale, è arrivato l'organo per te. Entro un'ora devi essere in clinica perché l'organo sta arrivando dall'Olanda."
Non ebbi nemmeno il tempo di pranzare, ma fu un bene, poiché dovevo arrivare a digiuno. Alle due del pomeriggio ero già ricoverato. Due infermiere mi prepararono rapidamente, facendomi indossare un mutandino a rete e il classico grembiule con il laccio sulle spalle. Mi portarono in una grande sala dove una decina di pazienti attendevano di entrare nelle sale operatorie. Intorno a ogni paziente c'erano medici, infermieri e, immancabilmente, uno psicologo per ciascuno, con le relative cartelle cliniche per definire gli ultimi preliminari preoperatori.
Era la fase di preparazione a tutto tondo: inserimento delle flebo, domande, preliminari e consigli tranquillizzanti. Dopo una quarantina di minuti mi portarono nel reparto di terapia intensiva, dove si trovano anche le sale operatorie. Sembrava un'astronave, con strumenti sofisticati ovunque e una rilassante luce blu. Sulla destra le postazioni di terapia intensiva, a sinistra le anticamere che portano alle sale operatorie.
La psicologa, sempre in testa al mio letto, continuava a farmi domande per placare il mio evidente nervosismo, persino accarezzandomi. Riuscivo persino a scherzare con lei, e lei sorrideva, facendomi acquisire ulteriore fiducia, di cui avevo bisogno. Arrivati in una saletta, mi fecero "saltare" sul lettino operatorio coperto da un lenzuolo verde. Apparve allegramente l'anestesista con due assistenti, che sembravano gemelli: bassi di statura, tratti orientali, pelle scura e capelli nerissimi. Erano gentili e molto professionali. Li paragonai scherzosamente a dei corvetti.
Intanto, l'anestesista e gli assistenti cominciarono ad avvolgermi di fili, cavi e cavetti, alcuni dei quali avrebbero dovuto funzionare da sensori per tenere sotto costante controllo tutti gli organi. Poi vennero i tubi, le ventose e quant'altro. In meno di quaranta minuti ero pronto, sistemato e bardato per essere trasferito in sala operatoria. La psicologa mi esprimeva le sue ultime raccomandazioni con un bellissimo sorriso: "Ci vediamo dopo." Nel mentre, l'anestesista cominciò a iniettarmi la prima dose di narcotico in vena, mentre tramite una maschera mi inalavano un'altra dose di narcotico, credo a base di azoto. Erano le 18 del pomeriggio. Poi un torpore soporifero mi inebriò, e in due secondi circa, il buio.
Mi svegliai la mattina al lieve richiamo dell'anestesista, che credo non fosse lo stesso che mi aveva preparato e addormentato. Mi disse che l'intervento era andato bene e che avrebbe vigilato su di me per le prossime ore nella postazione di terapia intensiva, non lontano da dove ero stato operato. Per me cominciavano i giorni più difficili della mia vita, ma mi sentivo rilassato, avvolto dalla solita luce blu e da una musica molto soft che mi dava serenità. Di istinto mi toccai l'addome, ma non rilevai nulla. Non sentivo dolore né segni di fasciatura o cicatrici, tanto che pensai che non mi avessero operato. Ma era solo una mia impressione, una sensazione non reale, perché stordito dal lungo periodo sotto anestesia. L'anestesia, si sa, fa brutti scherzi, e ne ero consapevole, anche se pensavo che le allucinazioni e i sogni fossero reali.
L'intervento era durato quasi sette ore, poi altre due ore sotto osservazione con l'addome aperto per controllare le funzioni del nuovo fegato e intervenire tempestivamente se necessario. Dopo altre due ore per il periodo più critico post-operatorio, erano passate dodici ore ed era il mattino del 20 giugno, solo un giorno prima del termine dell'influenza del mio segno zodiacale. Sono dei gemelli, forse una coincidenza fortunosa, forse solo causalità, ma a me questo rincuora.
Seguivano poi giorni tosti: allucinazioni e stato confusionale per effetto delle lunghe ore sotto anestetici. Giorni e giorni fermo, immobile e avvolto ancora di tubi, cavi e sensori per il monitoraggio delle funzioni vitali. Tante ore di sonno e poi di veglia, e ancora sonno. Poi le medicine immunosoppressive, i liquidi di scostamento e le flebo per l'alimentazione artificiale.
DI Barolus Viginti