Pazienti che entrano e altri che escono stesi e dormienti nei loro letti, ne entrano a tutte le ore, alcuni, capita almeno al 5% dei pazienti, che vengono portati via senza vita, per altro mi é capitato di capire che gli sfortunati potevano essere dei giovani: ragazzi, ragazze, a volte bambini piccoli, signore e signori anziani. Sfortunati; per via delle gravi patologie croniche non ce l'hanno fatta nel periodo piú critico post operatorio.
Anche io appena uscito dalla sale operatoria avevo la sensazione di essere moribondo e prossimo alla dipartita. Pensai questo e mi sembrava normale, ero rilassato e pronto per L'evenienza, lo pensai; uno perché non volevo soffrire, e anche perché una signora infermiera e religiosa provvedeva a sistemarmi dopo l'intervento.
La signora in altre circostanze faceva recitare delle preghiere ai moribondi:
( pensate una signora anziana in fase terminale, recitò insieme a lei tutta la preghiera poi spirò; questo fatto l'infermiera religiosa lo sottolineo: -che brava- disse, ha recitato la preghiera fino alla fine e poi se né andata, -che brava- disse -che Dio la prende in consegna- .
Dalla mia postazione si sentiva tutto. Ero coinvolto e pensavo che poteva succedere anche a me. lo pensavo veramente quando la stessa infermiera religiosa insieme ai due corvetti ( ricordate erano i gemelli che hanno aiutato l'anestesista nella preparazione preoperatoria). Questa volta i fratelli corvini mi stavano ripulendo il corpo lavandomi dai residui liquidi che avevo acquisito mentre mi stavano operando, persino dal sangue che aveva coperto e invaso in parte il mio addome.
Io ero assopito in uno stato di dormiveglia, a tratti ero cosciente a tratti entravo in uno stato comatoso. Capivo malgrado quello che succedeva intorno a me in quei momenti, non so quanto tempo passava ma ricordo a frammenti quei momenti.
Dopo essere stato asciugato mi misero intorno al corpo a mó di cornice; una specie di lenzuolo broccato di colore blu e viola, (a me sembrava il telo che mettono intorno ai morti prima di metterli nella bara) ero però tranquillo e rilassato, forse anche pronto.
Nel torpore e nei momenti di veglia pensavo che fosse normale, pensavo che era arrivata la mia ora; forse il rimbambimento provocato dagli anestetici mi facevano effetto illusionistico; chiudevo e aprivo gli occhi in un'alternanza di torpore e di presunta lucidità, fra veglia e sonnolenza che mi impediva di stare sveglio a lungo, d'altronde avevo appena dormito per circa dodici ore per effetto dell'anestesia.
intanto continuavo a pensare che fosse ora di partire, e che la mia prossima dimora fosse il lungo cassettone di un frigorifero. Certamente stavo solo farneticando, ma non fu così grazie Dio, mi trasferirono invece sul mio letto e mi portarono davanti al primario; costui mi scrutò mi palpo, mi diede una carezza e disse: -molto bene, un altro candidato a stare ancora insieme a noi in questo mondo, speriamo che lo voglia anche lui.
dal che il tragitto verso la postazione di terapia intensiva era a qualche metro).
In terapia intensiva un paramedico e un infermiera vigilavano su di me 24/24, annotando scrupolosamente ogni variazione del decorso post operatorio come da protocollo.
Non era allegro quel posto, non lo é tutt'ora, e non era neppure facile starci, ma il personale questo non lo faceva pesare, anzi erano sempre allegri sorridenti e disponibili al dialogo, e ancora, distensivi, raccomandanti, sempre pronti ad intervenire quando negli strumenti si accendono delle spie o qualche suoneria, oppure quando avevo bisogno e facevo suonare un dispositivo di chiamata tramite un pulsante incerottato aduna mano. Ogni volta poi mi incitavano a fare delle domande nel caso né avessi da fare per questioni evidenti e relative allo status in cui stavo. In quello stato un paziente non é per niente autosufficiente, bisogna che siano curati in tutto, anche nell'igiene intimo.
Poi immobile per giorni, uno sfinimento che provocava malessere e nervosismo, non era affatto comodo, ma quella era la procedura e così dovevo stare, scomodamente a digiuno, potevo bere solo delle tisane e acqua. Solo dopo qualche giorno cominciarono a a farmi mangiare cibi solidi. la fame mi tagliava in due, incredibile, dopo quel difficile a complicato intervento mi sarei mangiato un bue intero con le corna.
Per il personale di appoggio non deve essere facile fare quel lavoro, ma loro lo fanno con dedizione, passione e professionalità. Una vera missione per ogni uno di loro; per altro nello stesso blocco ospedaliero esiste un piano riservato al loro alloggio in modo che siano sempre disponibili 24/24 compresi medici chirurghi, anestesisti, paramedici e personale specializzato di appoggio.
Il REPARTO DI TRAPIANTOLOGIA doveva e deve essere sempre in perfetta efficienza; per quanto trapelava almeno quattro- cinque equipe di specialisti erano presenti e a disposizione nei loro alloggi sempre pronti ad intervenire.
Una macchina perfetta, funzionante e per l'appunto puntualmente efficiente.
I giorni passavano lenti e interminabili. Dopo qualche settimana mi consolavo pensando che magari dal 20 Luglio sarei potuto tornare a Baldeneysee in bicicletta. Mi ero illuso, solo il 22 Luglio sono uscito dall'ospedale, e ci sono rientrato il 27 Luglio per altri 10 giorni, e ancora altri 10 giorni alla fine di Agosto, e altri 7 giorni fra la fine di Settembre e i primi giorni di Ottobre.
Erano ricoveri precauzionali ma anche per correggere alcuni valori ematici. i Trombociti erano ancora molto bassi, lo stesso il "Calium" (Potassio)(calio in italiano), da non confondere con il "cloruro di Potassio", quello é roba americana che usano per levare di mezzo i condannati a morte, e quí sorvolo.
tali valori per effetto della ritenzione idrica erano ancora fuori norma e in uno stato allarmante, lo stesso le proteine, si perdevano insieme al ferro e altri valori, la pressione bassa.
Il quadro clinico nei primi tre mesi post operatorio non erano per nulla rassicurante, era ancora precario e da correggere, anche la terapia in funzione alle esigenze progressive post operatorie, in particolare gli immunosoppressivi (ovvero, gli antirigetto) erano da adeguare.
Una sera un'infermiera gentile che mi marcava stretto mi racconto come funziona il reparto e tutto ciò che succede all'interno "dell'astronave" e nel reparto dove vengono trasferiti i pazienti dopo il periodo di terapia intensiva, nella quale ho giaciuto almeno due settimane.
Quí a Essen si dice che il reparto di trapianti di fegato presso la clinica universitaria di Essen sia uno dei migliori del mondo. L'efficienza di questo angolo di mondo fanno pensare che sia proprio cosí.
Un fatto che faccio fatica a dimenticare é quando piansi, ero molto debole e quindi di lacrimuccia facile, quando vidi una signora, arrivata davanti alla porta "dell'astronave" e cedete un fagottino a una dottoressa che presto sparì dietro la porta automatica del centro operatorio. Quella donna era la mamma del fagottino che doveva essere operato, un bambino piccolissimo di cui non só per cosa doveva essere operato, faceva comunque tenerezza e commozione vedere una scena simile, era una scena che rimarcava il dolore e la paura dell'odore della morte che imperversava in quei paraggi.
La mamma appena ceduto il bambino mormorò qualche cosa alla dottoressa e cadde a terra inerte, svenuta, altri parenti e personale medico che era presente evitarono che questa si facesse male al contatto con il suolo. Fortunatamente andò tutto bene sia per lei, che per il bambino che si rimise pure presto.
Purtroppo io dovevo essere destinato, dovevo fare anche quella esperienza; ero da poco uscito dalla terapia intensiva e mi trovavo in una stanza adiacente all'entrata "dell'astronave". Il caso volle che sia nel caso della terapia intensiva che nel resto della degenza mi trovassi sempre in prossimità della porta di ingresso della grande "astronave" illuminata perennemente da una dolce riposante luce blu e resa rasserenante da una musica soft.
Una volta, come fossi un piantone di sentinella, in questo caso non in piedi, ma steso immobile sul letto, una dall'interno e un'altra ancora all'esterno, e sempre con le porte delle camere aperte, potevo vedere tutto quello che succedeva interno all'entrata delle sale operatorie.
Quella della degenza ospedaliera per motivi di trapianto é sicuramente un'esperienze unica, irripetibile, molto impegnativa e sofferta, non é per nulla da paragonare ad una passeggiata.
il recupero avviene in maniera lenta e faticosa, nelle prime ore le mie gambe si erano gonfiate, i piedi pure, sembravano due zampogne, le braccia si erano deformate, e i fianchi sembravano i parafanghi di un maggiolino, tanto erano gonfi, i miei muscoli e la mia carne era invasa dai liquidi, ero totalmente scofanato, arrivai a pesare quasi 100 chili nelle prime due settimane, poi una terapia diuretica molto efficace lentamente mi riportarono pressappoco a sei chili sotto il mio peso forma; decisamente meglio, ma con uno sbalzo di peso significativo, posso dire anche se stavo decisamente molto male al punto di desiderare quel nominato frigorifero.
La muscolatura non esisteva piú, il mio corpo era floscio, molle e debolissimo, la mia pelle secca e rugosa ovunque, e non mi reggevo in piedi nonostante la fisioterapista ci mise tutte le sue forze per rimettermi in piedi: inoltre la disperazione pareva prendersi tutto, ero talmente giú di morale che pensavo: - non tornerò mai più quello di prima.
Dovetti però presto ricredermi perché ogni giorno facevo un passettino piccolo nel recupero fisico, e però tanto "dolore": (anche se non fisico. Ero imbottito di sedativi, quindi il dolore era solo psicologico, quindi ancor di piú insopportabile.
Il primario del centro trapianti di Essen due giorni dopo l'intervento, finito il briefing mattutino dei medici ( o visita mattutina di routine) si avvicino alla testa del mio letto e mi disse se avevo appetito, si risposi, sto bevendo solo liquidi:
-da domani comincerai a mangiare qualche cosa di solido-
-Bene, grazie- Replicai; poi lui aggiunse con un sorriso rassicurante:
-ti abbiamo dato un buon fegato- sei stato molto fortunato-.
Tali affermazioni poi confermato di fatto quanto ho appreso dopo:
oggi ho scoperto che il nuovo fegato mi é stato donato da un giovane che aveva trent'anni meno di me,
(lo ringrazierò finche campo) era uno sportivo alto un metro e ottantacinque, e so anche che é morto in un incidente stradale (forse con la moto).
Me lo disse dapprima un'infermiera che faceva servizio notturno quando ero in terapia intensiva (lei per altro ha assistito anche al mio intervento) ha risposto per quel poteva rivelare a delle domande che gli ponevo) dal che anche se naturalmente non poteva rilevarmi dati sensibili riferenti al donatore, mi rivelò alcune dinamiche della sua dipartita. Mi fece vedere sulla carta anche dov'é avvenuto l'incidente, e quí non voglio aggiungere altro se non che é successo in Olanda.
Pur essendo grato a lei e naturalmente al donatore, non tornai piú su questo argomento nonostante penso spesso al donatore e al suo organo che continua a vivere in me.
Dagli organi di questo donatore ora potrà tornare a vedere uno che era cieco, un altro che aveva il cuore compromesso, altri che avevano problemi ai polmoni, un altro invece ha potuto avere un nuovo intestino, un altro una nuova milza, uno un nuovo pancreas, e persino i reni hanno salvato altre due persone.
Ieri ho avuto la conferma di ció che giá sapevo anche dalla mia dottoressa che mi ha riferito le stesse cose che mi aveva riferito precedentemente l'infermiera, dal che ritengo opportuno parlarne.
La mia vita era condizionata e precaria fino a che tramite una modifica nelle vene principali del fegato (la vena porta e la vena cava) effettuata appena un mese prima del trapianto mi avrebbe permesso di campare si e no dai tre ai cinque anni ancora se non fosse arrivato il nuovo organo da li a poco.
Oggi, Dio volendo ho la possibilità di viverne di più.
Tutto questo grazie al sacrificio di un giovane morto prematuramente, e che per regola ben definita, non si puó conoscere il nome, e alla donazione dei suoi organi.
Insomma questo ragazzo sfortunato ha regalato a tante persone una seconda vita avendo di fatto solo un trauma cranico che gli spezzò il suo percorso terreno.
Un colpo audace e di bravura per i sanitari a cui bisogna dire grazie tre volte.
Non esiste nulla di macabro in questo o altri motivi per raccapricciarsi; la donazione di organi é una cosa meravigliosa, e una cosa normale; non PENSO AFFATTO ALLA MORTE PENSANDO AL DONATORE; PENSO INVECE CHE ESSO VIVA ANCORA DENTRO ALTRE PERSONE CHE LO RINGRAZIERANNO FINCHE CAMPANO; io compreso e prego che il suo organo non mi abbandoni mai. ...
( con me starà bene e lo tratterò con rispetto e riguardo.
Di Barolus Viginti
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