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sabato 31 luglio 2010

barole20 ti ha inviato il video "No bavaglio, l'intervento di Curzio Maltese a piazza Navona"

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No al bavaglio sull'informazione
Roma, piazza Navona, 1 luglio 2010, l'intervento di Curzio Maltese alla manifestazione della Fnsi contro il ddl intercettazioni - http://www.micromega.net
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venerdì 30 luglio 2010

Piero Ricca e il "buffone" a Silvio Berlusconi

Tremorti: La nuova manovra finanziaria

La nuova manovra economica:
Taglio a Regioni e comuni significa alzare il livello di povertà.
Intanto sugli evasori fiscali e sui capitali all'estero solo una strettina leggera leggera, non si sa mai..... con le quote latte POI, fanno ridere il mondo da anni...
Pari pari alla riforma universitaria il ritorno alla preistoria é imminente!
"an vedi oh! Semo messi porprio bene, semo messi!"
e DEU itta depu faidi probiviri......


Sì alla manovra: via libera a tagli per 25 miliardi Quote latte, Ue delusa: "Così violano le norme"

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Dopo un iter parlamentare di due mesi la manovra taglia il traguardo. Il decreto rispetta gli impegni chiesti da Bruxelles sul deficit e mette al riparo l’Italia dalle turbolenze finanziarie. Tra le novità: riforma delle pensioni, tagli agli enti locali, diminuzione degli stipendi ai parlamentari

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Roma - Dopo un iter parlamentare di circa 2 mesi la manovra economica taglia il traguardo. La Camera ha approvato in via definitiva il decreto di correzione dei conti italiani con 321 voti a favore, 270 contrari e 4 astenuti, confermando il testo del Senato, l’unico ramo del Parlamento che ha apportato modifiche al provvedimento. Correzioni che, secondo il governo, hanno migliorato il decreto non alterandone i saldi. Ma è sulle quote latte che Bruxelles torna a bacchettare l'Italia discendosi "delusa" per una norma presente in Finanziaria che sarebbe contraria alle regole Ue.
Una manovra da 24,9 miliardi Il disco verde al testo è arrivato con doppia fiducia, prima a palazzo Madama, poi Montecitorio dove il provvedimento è arrivato blindato. Dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, attesa già per domani, la manovra sarà quindi legge dello Stato. La manovra da 24,9 miliardi è stata approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 25 maggio per rispettare gli impegni chiesti da Bruxelles sul deficit (ridurlo dal 5% del pil del 2010 al 3,9% nel 2011 e al 2,7% nel 2012) e mettere al riparo l’Italia da ulteriori turbolenze finanziarie. Una manovra pesante, riconosciuta da tutti come necessaria, ma contestatissima fin dalla sua approvazione. In trincea, in primis, i governatori sul piede di guerra contro i "pesanti" tagli alle Regioni. A contestarla anche molte altre categorie: dalle Province e i Comuni, ai disabili, i farmacisti, gli ambientalisti, i magistrati fino ai diplomatici e i rappresentanti del mondo della cultura.
I nodi irrisolti Molti, tuttavia, sono i nodi che la manovra lascia irrisolti, a partire dalle riduzioni ai trasferimenti per le Regioni, le quote-latte sulla cui proroga del pagamento delle multe pende la possibile apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea e la stretta sui diplomatici, la cultura e la sicurezza. Tutte "grane" per il governo che si riproporranno fra qualche mese, in autunno, quando l’esecutivo dovrà varare la sua prima legge di stabilità, la ex Finanziaria. Molte invece le novità che saranno a brevissimo legge dello Stato. È in arrivo il blocco degli stipendi per i dipendenti pubblici, la riforma delle pensioni e i tagli per Regioni, Province e Comuni. E ancora, la riduzione delle retribuzioni dei manager, la stretta sull’evasione fiscale e le assicurazioni, i tagli ai ministeri e ai costi della politica. Entrano anche le norme per la libertà d’impresa, i rincari dei pedaggi autostradali e la sanatoria per oltre 2 milioni di "case fantasma". Intanto, oggi dopo la Camera, anche palazzo Madama ha approvato il taglio di mille euro agli stipendi dei senatori, così come indicato in manovra. Per il Senato arrivano complessivamente risparmi per 35 milioni di euro.
Scontro sulle quote latte La Commissione Ue è delusa di apprendere che l’Italia ha votato una misura che sembra essere contraria alle regole sul rimborso delle multe per il superamento delle quote latte. Ora esaminerà sotto il profilo giuridico il testo votato e non esiterà a intraprendere l’azione necessaria contro l’Italia se la misura non è conforme alle regole Ue. bruxelles ha appena inviato una lettera all’Italia in cui chiede con "urgenza" di essere informata sulla disposizioni approvate. E questo, per capire se le misure "sono in linea con la normativa europea e con gli impegni politici ripetuti presi dal governo italiano di imporre un’applicazione rigorosa ed effettiva del sistema delle quote latte in Italia". In quella missiva Bruxelles mette anche in guardia l’Italia sul fatto che, ogni modifica alle regole fissate nel 2003 sulla rateizzazione del pagamento delle multe per le quote latte, potrebbe violare le norme Ue sugli aiuti di Stato. È la prima volta, nella ventennale vicenda delle quote latte, che Bruxelles prospetta questa eventualità.

mercoledì 28 luglio 2010

[Blog di Beppe Grillo] Segnalazione: Gianni Lannes e le scorie tossiche a km zero

barole20@googlemail.com
ti invita a leggere un intervento di Beppe Grillo
Informare per resistere...
Titolo: Gianni Lannes e le scorie tossiche a km zero
Link: http://www.beppegrillo.it/2010/06/rifiuti_tossici.html
Questo messaggio ti è stato inviato da barole20@googlemail.com.
Se ti è stato inviato per errore, ci scusiamo per
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barole20 ti ha inviato il video "The Biggest Stars In The Universe"

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Star Size Comparison: The biggest/largest known stars in the Universe.

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VY Canis Majoris (VY CMa) is a red hypergiant star located in the constellation Canis Major. With a size of 2600 solar radii, it is the largest known star and also one of the most luminous known. It is located about 1.5 kiloparsecs (4.6×1016 km) or about 4,900 light years away from Earth. Unlike most stars, which occur in either binary or multiple star systems, VY CMa is a single star (i.e. does not have any stellar companions). It is categorized as a semiregular variable and has an estimated period of 6,275,081 days, or just under 17,200 years.

Antares (α Scorpii / Alpha Scorpii) is a red supergiant star in the Milky Way galaxy and the sixteenth brightest star in the nighttime sky (sometimes listed as fifteenth brightest, if the two brighter components of the Cap... Altro
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domenica 25 luglio 2010

Tragedia alla Love parade in Duisburg

Tragedia alla Love parade in Duisburg
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Tragedia annunciata a Duisburg durante il love parade. Anche molti poliziotti presi dal panico intrappolati in mezzo alla folla hanno peggiorato la situazione.
A causare la tragedia (cifra provvisoria di 15 morti e centinaia di feriti) il calcolo errato delle probabili presenze; le forze dell'ordine avevano previsto da un milione e mezzo a due milioni di persone, come tutti gli anni d'altronde. Invece stando ai primi dati della polizia vi hanno partecipato circa quattro milioni di persone e di conseguenza hanno mandato in tilt il servizio d'ordine nel punto piú temuto, il tunnel nemmeno tanto lungo, nei pressi dalla stazione centrale.
Uno scorcio panoramico della love parade duisburg


la folla procedeva lentamente in tutto il corteo verso il piazzale allestito nei pressi dell'A40 dove si concentrava poi tutto il raduno al suono di musica Rock a volume altissimo, 300.000 decibel che fanno vibrare gli organi interni del corpo, una libidine in condizioni spensierati e di festa.
Con alcuni amici siamo passati nel tunnel maledetto circa tre ore prima della tragedia, e molti come me hanno avvertito durante il transito situazioni di pericolo, in particolare nei pressi dove insieme alla folla procedeva lentamente e con la musica a tutto volume il Tir allestito a discoteca, e proprio in quei punti (ogni cento metri Cera un Tir) CHE si accalcava di piú la folla. Molti procedevano ballando spensierati, anche se lo spazio era ridottissimo, ma molti erano sopraffatti dal panico per cui non vedevano l'ora di uscire dal tunnel.
Tanti andando avanti hanno dato l'allarme sulla situazione pericolosa che si incontrava attraversando il tunnel, ma ormai era troppo tardi per intervenire, la polizia, vigili del fuoco e gli altri apparati di soccorso l'hanno capito subito, tant'è che solo un'accenno di aprire dei varchi ha causato maggior panico ed é proprio allora che la gente sentendosi mancare lo spazio e L'aria ha cominciato a spingere e a cercare spazio per la "fuga". Nella situazione che si é creata, i piú deboli hanno avuto la peggio, infatti stando alle prime stime le vittime sono quasi tutte giovani donne.
Un tragedia che a Duisburg non si era mai vista. Solo una settimana fa si tiravano le somme sul risultato positivo della grande festa in autostrada; oggi sarebbe dovuto andare nello stesso modo, invece il tutto si chiude con un sipario oscuro e quindici giovani vite spezzate da piangere.

Travaglio intervista il Dott, Roberto Scarpinato procuratore generale a Caltanissetta


da Il Fatto Quotidiano, 24 luglio 2010

scarpinatoDottor Roberto Scarpinato, come nuovo procuratore generale a Caltanissetta lei dovrà occuparsi dell’iter della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, che a quanto pare ha condannato definitivamente almeno sette persone innocenti, di cui tre si erano autoaccusate falsamente. Ora, sulle stragi del 1992-93, i suoi colleghi di Palermo e Caltanissetta dicono che siamo prossimi a una verità che la classe politica potrebbe non reggere. Qual è la sua opinione? 
Proprio a causa del mio nuovo ruolo non posso entrare nel merito di indagini e processi in corso. Mi limito a un sommario inventario che induce a ritenere che i segreti del multiforme sistema criminale che pianificò e realizzò la strategia terroristico-mafiosa del 1992-93 siano a conoscenza, in tutto o in parte, di circa un centinaio di persone. E tutte, dalla prima all’ultima, continuano a custodirli dietro una cortina impenetrabile.

E chi sarebbero tutte queste persone?  
Partiamo dai mafiosi doc: Riina, Provenzano, i Graviano, Messina Denaro, Bagarella, Agate, i Madonia di Palermo, Giuseppe Madonia di Caltanissetta, Ganci padre e figlio, Santapaola e tutti gli altri boss della “commissione regionale” di Cosa Nostra che si riunirono a fine 1991 per alcuni giorni in un casale delle campagne di Enna per progettare la strategia stragista. Una trentina di boss che poi riferirono le decisioni in tutto o in parte ai loro uomini di fiducia. Altre decine di persone. Nessuno di loro ha mai detto una parola sul piano eversivo globale. Le notizie che abbiamo ce le hanno fornite uomini d’onore che le avevano apprese in via confidenziale da alcuni partecipanti al vertice, come Leonardo Messina, Maurizio Avola, Filippo Malvagna. Altri a conoscenza del piano sono stati soppressi poco prima che iniziassero a collaborare, come Luigi Ilardo, o sono stati trovati morti nella loro cella, come Antonino Gioè. Agli esecutori materiali delle stragi o di delitti satellite, i vertici mafiosi in genere non rivelavano i retroscena politici del piano stragista, si limitavano a fornire spiegazioni di causali elementari e di copertura. Aggiungiamo i vertici della ndrangheta che, come hanno rivelato vari collaboratori,tennero nello stesso periodo una riunione analoga nel santuario di Polsi.  

Chi altri sa? 
È da supporre una serie di personaggi che anticiparono gli eventi che poi puntualmente si verificarono. L’agenzia di stampa “Repubblica” vicina a Vittorio Sbardella, ex leader degli andreottiani romani (nulla a che vedere col quotidiano omonimo) scrisse 24 ore prima di Capaci che di lì a poco si sarebbe verificato “un bel botto” nell’ambito di una strategia della tensione finalizzata a far eleggere un outsider come presidente della Repubblica al posto del favoritissimo Andreotti. Il che puntualmente avvenne, così Andreotti fu costretto a farsi da parte e venne eletto Scalfaro. Anni dopo Giovanni Brusca ha riferito che la tempistica di Capaci era stata preordinata per finalità che coincidono esattamente con quelle annunciate nel profetico articolo. Dunque, o l’autore aveva la sfera di cristallo, o conosceva alcuni aspetti della strategia stragista e aveva deciso di intervenire sul corso degli eventi con una comunicazione cifrata, comprensibile solo da chi era a parte del piano.  

L’agenzia Repubblica aveva pure anticipato il progetto globale in cui si inscriveva il delitto Lima. 
Esattamente. Il 19 marzo 1992, pochi giorni dopo l’assassinio di Salvo Lima (andreottiano come Sbardella,ndr), l’agenzia annunciò che l’omicidio era l’incipit di una complessa strategia della tensione “all’interno di una logica separatista e autonomista […] volta a consegnare il Sud alla mafia siciliana per divenire essa stessa Stato al fine di costituirsi come nuovo paradiso del Mediterraneo […] mediante un attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari […].  Paradossalmente il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a lasciare sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito deriva-bile dalla diversificazione degli impieghi di capitale disponibile”.
Anni dopo Leonardo Messina rivelò alla magistratura e all’Antimafia il progetto politico secessionista di cui si era discusso nel summit di Enna su input di soggetti esterni che dovevano dare vita a una nuova formazione politica sostenuta da “vari segmenti dell’imprenditoria, delle istituzioni e della politica”. Come faceva l’autore dell’articolo a sapere ciò che anni dopo avrebbe svelato Messina? È come se circolassero informazioni in uncircuito separato e parallelo a quello destinato alla massa. Un circuito soprastante alla base mafiosa, delegata ad eseguire la parte militare del piano, e interno alla mente politica collettiva che quel piano aveva concepito, anche se poi quel piano mutò in corso d’opera per una serie di eventi sopravvenuti, e si puntò così ad una diversa soluzione incruenta.
In questo quadro c’è poi da chiedersi perché, in un’intervista del 1999, il professor Miglio, ex teorico della Lega Nord, dichiarò parlando dei fatti dei primi anni ‘90: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
 
Andiamo avanti. 

L’ex neofascista Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna, il 4 marzo 1992 scrisse una lettera dal carcere al giudice Leonardo Grassi per anticipargli che “nel periodo marzo-luglio” si sarebbero verificati fatti per destabilizzare l’ordine pubblico con esplosioni dinamitarde e omicidi politici. Puntualmente il 12 marzo fu ucciso Lima e nel maggio e luglio ci furono le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 18 marzo Ciolini aggiunse che il piano eversivo era di “matrice masso-politico-mafiosa”, come rivelarono poi alcuni collaboratori di giustizia, e preannunciò un’operazione terroristica contro un leader del Psi. Anni dopo accertammo che era stato progettato l’omicidio di Claudio Martelli, fallito per alcuni imprevisti.  
  
Chi manca, alla “lista della spesa”? Quanti si celavano dietro la sigla della “Falange armata” i quali, pochi giorni dopo le dimissioni di Martelli da ministro perché coinvolto nelle indagini sul conto segreto svizzero “Protezione” a seguito delle dichiarazioni rese da Silvano Larini (il 9.2.1993) e da Licio Gelli (il 17.2.1993), diffusero il 21 aprile 1993 un comunicato per invitare Martelli a non fare la vittima e ad essere “grato alla sorte che anche per lui si sia potuta perseguire la via politica invece che quella militare”; e poi per lanciare avvertimenti a Spadolini, Mancino e Parisi, annunciando future azioni. Pochi mesi dopo, la manovra dello scandalo dei fondi neri del Sisde indusse Parisi a dimettersi, fece vacillare il ministro Mancino e anche il presidente Scalfaro, il quale denunciò che dietro quella vicenda si muovevano oscuri progetti di destabilizzazione politica.  
  
E poi? L’elenco sarebbe molto lungo e coinvolgerebbe tanti soggetti di quali non posso parlare, visti i limiti che derivano dal mio ruolo. Possiamo forse aggiungere alcuni di coloro che hanno concepito il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio: cioè la costruzione a tavolino, tramite falsi pentiti, di una versione minimalista che ha “tarato” le indagini verso il basso, circoscrivendola a una banda di piccoli criminali comeScarantino, e garantendo intorno ad essa un muro impenetrabile di omertà che ha retto fino a un paio di anni fa, cioè alle dichiarazioni autoaccusatorie di Spatuzza. Poi, se i riscontri dovessero confermare le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sono i vari “signor Franco” o “signor Carlo” che affiancarono suo padre Vito facendo da cerniera tra mondo mafioso e mondi superiori durante le stragi. E inoltre quanti garantirono a Provenzano, garante della soluzione politica alternativa a quella cruenta di Riina, di muoversi per anni liberamente per l’Italia e di visitare Vito Ciancimino gli arresti domiciliari. Poi coloro che fecero sparire l’agenda rossa di Borsellino. E tanti altri...
 
Come gli ufficiali del Ros Mori e De Donno, ora imputati per la mancata cattura di Provenzano dopo la trattativa che portò all’arresto di Riina, con annessa mancata perquisizione del covo e sparizione delle carte segrete del boss. E i superiori militari e politici che autorizzarono quella “trattativa”. 
Non posso rispondere. Sono fatti ancora oggetto di indagini in corso.  
  
Su questa convergenza di ambienti e interessi lei, a Palermo, aveva avviato l’indagine “Sistema criminale”, poi in parte archiviata. Che cos’è il sistema criminale? 
Quello che abbiamo appena sintetizzato. Un sistema composto da esponenti di mondi diversi, tutti rimasti orfani dopo la caduta del Muro di Berlino delle passate protezioni, all’ombra delle quali avevano potuto coltivare i più svariati interessi economici e criminali, tra questi anche la mafia militare sino ad allora tollerata come anticorpo contro il pericolo comunista. Questi mondi intercomunicanti attraverso uomini cerniera erano accomunati da un interesse convergente: destabilizzare il sistema agonizzante della Prima Repubblica e impedire un ricambio politico radicale ai vertici del Paese con l’avvento delle sinistre al potere (la “gioiosa macchina da guerra”). Ciò doveva avvenire mediante la creazione di un nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto conquistare il potere mediante un’articolata strategia che si snodava contemporaneamente sul piano militare e politico. La nostra ipotesi, almeno sul piano storico, esce sempre più confermata dalle recenti scoperte investigative. Nella stagione delle stragi si muovono molteplici operatori che poi si dividono i compiti. Chi concepisce il piano, chi lo realizza a livello militare, chi organizza la disinformazione e chi i depistaggi. Basterebbe che cominciasse a parlare qualcuno che conosce anche solo la sua parte, per consentirci enormi passi avanti nella ricerca della verità. Ma, finora, non parla nessuno.
  
Bè, mafiosi come Spatuzza e figli di mafiosi come Massimo Ciancimino parlano. E costringono a ricordare qualche esponente delle istituzioni: gli improvvisi lampi di memoria di alcuni politici, dopo 17-18 anni, sul ruolo di Mori durante la “trattativa” con Ciancimino fanno pensare che tanti a Roma sappiano molto, se non tutto...   Anche qui preferisco non addentrarmi in vicende specifiche, tuttora oggetto di indagini e processi. Prescindendo da casi specifici, vista dall’alto la tragica sequenza degli avvenimenti di quegli anni fa pensare al “gioco grande” di cui parlava Falcone: l’ennesimo gigantesco war game giocato all’interno di alcuni settori della nomenclatura del potere nazionale sulla pelle di tanti innocenti. Un war game trasversale combattuto anche a colpi di segnali, messaggi trasversali, avvertimenti in codice, veti incrociati e ricatti sotterranei: non potendo parlare esplicitamente tutti erano costretti a comunicare con linguaggi cifrati.

Perché dice “ennesimo war game”? 
Tutta la storia repubblicana è segnata dal “gioco grande” celato dietro progetti di colpi di Stato   poi rientrati (dal golpe Borghese al piano Solo) e stragi caratterizzate da depistaggi provenienti da apparati statali: da Portella della Ginestra alla strage di Bologna alle stragi del 1992-93. Perciò la questione criminale in Italia è inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale e con la questione stessa dello Stato e della democrazia.

Possibile che, in un Paese debole di prostata dove nessuno si tiene niente, i segreti sulle stragi custoditi da tanta gente tanto eterogenea restino impenetrabili a quasi vent’anni di distanza? Molte stragi d’Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Pensi aPortella della Ginestra: la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell’ordine, il ministero dell’Interno. Pensi alle stragi della destra eversiva. Così quelle politico-mafiose del 1992-93. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone, riuscendo a raggiungerle e a eliminarle anche nel carcere più protetto. Come Gaspare Pisciotta, testimone scomodo ucciso all’Ucciardone con un caffè alla stricnina, e a un’altra decina di persone al corrente dei segreti retrostanti la strage di Portella. E come Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia e strangolato in carcere. Resta inquietante lo strano suicidio in   carcere nel 1993 di Nino Gioè, appena arrestato e sospettato per Capaci, dopo strani incontri con agenti dei servizi e una strana trattativa avviata con Paolo Bellini, coinvolto in indagini sull’eversione nera negli anni 70, per aprire un canale con Cosa Nostra. Ed è inquietante che Nino Giuffrè, braccio destro di Provenzano, abbia raccontato di essere stato invitato a suicidarsi nel 2005, subito dopo l’inizio della sua collaborazione, ancora segretissima. Il muro dell’omertà comincia a fessurarsi solo quando il sistema di potere entra in crisi.
 
È per questo che oggi si aprono spiragli importanti di verità? 
Presto per dirlo, ma ancora una volta la lezione della storia ce lo insegna. Quando la Prima Repubblica era potente, Buscetta, Marino Mannoia e altri collaboratori rifiutarono di raccontare a Falcone i rapporti mafia-politica: iniziarono a svelarli solo nel ‘92, quando quel sistema crollò, o meglio sembrò fosse crollato.

Oggi il governo appena qualcuno torna a parlare, vedi Spatuzza, gli nega il programma di protezione. Che messaggio è? 
Quella decisione è stata presa contro il voto di dissenso dei magistrati della Procura nazionale antimafia che fanno parte della Commissione sui collaboratori di giustizia e contro il parere concorde dei magistrati di ben tre Procure della Repubblica antimafia: Caltanissetta, Palermo e Firenze. Intorno al caso Spatuzza e sul fronte delle indagini sulle stragi si è verificata una spaccatura assolutamente inedita tra magistrati e gli altri componenti della Commissione. Proprio perché non si tratta di una scelta di routine e proprio a causa di questa spaccatura, quella decisione in un mondo come quello mafioso che vive di segnali può essere equivocata e letta in modo distorto: nel senso che lo Stato in questo momento non è compatto nel voler conoscere la verità sulle stragi. Naturalmente non è affatto così, le motivazioni del dissenso sono di tipo giuridico, ma è innegabile che il pericolo esista.

Dunque hanno ragione i pm di Caltanissetta quando dicono in Antimafia che la politica non è pronta a fronteggiare l’onda d’urto delle nuove verità sulle stragi? A me risulta che le loro dichiarazioni sono state riportate dalla stampa in modo inesatto. In ogni caso, sulle stragi e i loro retroscena abbiamo oggi un’occasione più unica che rara, forse l’ultima, per raccontare unastoria collettiva sepolta da quasi vent’anni di oblio organizzato. Per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire finalmente adulto. Se non dovessimo farcela neppure stavolta, non ci resterebbe che fare nostra un’amara considerazione di Martin Luther King: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”. 
(Nella foto: Roberto Scarpinato)

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Marco Travaglio intervista il dott. Roberto Scarpinato procuratore generale a Cltanissetta

 scarpinatoda Il Fatto Quotidiano, 24 luglio 2010
Dottor Roberto Scarpinato, come nuovo procuratore generale a Caltanissetta lei dovrà occuparsi dell’iter della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, che a quanto pare ha condannato definitivamente almeno sette persone innocenti, di cui tre si erano autoaccusate falsamente. Ora, sulle stragi del 1992-93, i suoi colleghi di Palermo e Caltanissetta dicono che siamo prossimi a una verità che la classe politica potrebbe non reggere. Qual è la sua opinione? 
Proprio a causa del mio nuovo ruolo non posso entrare nel merito di indagini e processi in corso. Mi limito a un sommario inventario che induce a ritenere che i segreti del multiforme sistema criminale che pianificò e realizzò la strategia terroristico-mafiosa del 1992-93 siano a conoscenza, in tutto o in parte, di circa un centinaio di persone. E tutte, dalla prima all’ultima, continuano a custodirli dietro una cortina impenetrabile. 

E chi sarebbero tutte queste persone?   
Partiamo dai mafiosi doc: Riina, Provenzano, i Graviano, Messina Denaro, Bagarella, Agate, i Madonia di Palermo, Giuseppe Madonia di Caltanissetta, Ganci padre e figlio, Santapaola e tutti gli altri boss della “commissione regionale” di Cosa Nostra che si riunirono a fine 1991 per alcuni giorni in un casale delle campagne di Enna per progettare la strategia stragista. Una trentina di boss che poi riferirono le decisioni in tutto o in parte ai loro uomini di fiducia. Altre decine di persone. Nessuno di loro ha mai detto una parola sul piano eversivo globale. Le notizie che abbiamo ce le hanno fornite uomini d’onore che le avevano apprese in via confidenziale da alcuni partecipanti al vertice, come Leonardo Messina, Maurizio Avola, Filippo Malvagna. Altri a conoscenza del piano sono stati soppressi poco prima che iniziassero a collaborare, come Luigi Ilardo, o sono stati trovati morti nella loro cella, come Antonino Gioè. Agli esecutori materiali delle stragi o di delitti satellite, i vertici mafiosi in genere non rivelavano i retroscena politici del piano stragista, si limitavano a fornire spiegazioni di causali elementari e di copertura. Aggiungiamo i vertici della ndrangheta che, come hanno rivelato vari collaboratori,tennero nello stesso periodo una riunione analoga nel santuario di Polsi.   

Chi altri sa? 
È da supporre una serie di personaggi che anticiparono gli eventi che poi puntualmente si verificarono. L’agenzia di stampa “Repubblica” vicina a Vittorio Sbardella, ex leader degli andreottiani romani (nulla a che vedere col quotidiano omonimo) scrisse 24 ore prima di Capaci che di lì a poco si sarebbe verificato “un bel botto” nell’ambito di una strategia della tensione finalizzata a far eleggere un outsider come presidente della Repubblica al posto del favoritissimo Andreotti. Il che puntualmente avvenne, così Andreotti fu costretto a farsi da parte e venne eletto Scalfaro. Anni dopo Giovanni Brusca ha riferito che la tempistica di Capaci era stata preordinata per finalità che coincidono esattamente con quelle annunciate nel profetico articolo. Dunque, o l’autore aveva la sfera di cristallo, o conosceva alcuni aspetti della strategia stragista e aveva deciso di intervenire sul corso degli eventi con una comunicazione cifrata, comprensibile solo da chi era a parte del piano.   

L’agenzia Repubblica aveva pure anticipato il progetto globale in cui si inscriveva il delitto Lima. 
Esattamente. Il 19 marzo 1992, pochi giorni dopo l’assassinio di Salvo Lima (andreottiano come Sbardella,ndr), l’agenzia annunciò che l’omicidio era l’incipit di una complessa strategia della tensione “all’interno di una logica separatista e autonomista […] volta a consegnare il Sud alla mafia siciliana per divenire essa stessa Stato al fine di costituirsi come nuovo paradiso del Mediterraneo […] mediante un attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari […].  Paradossalmente il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a lasciare sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito deriva-bile dalla diversificazione degli impieghi di capitale disponibile”. 
Anni dopo Leonardo Messina rivelò alla magistratura e all’Antimafia il progetto politico secessionista di cui si era discusso nel summit di Enna su input di soggetti esterni che dovevano dare vita a una nuova formazione politica sostenuta da “vari segmenti dell’imprenditoria, delle istituzioni e della politica”. Come faceva l’autore dell’articolo a sapere ciò che anni dopo avrebbe svelato Messina? È come se circolassero informazioni in uncircuito separato e parallelo a quello destinato alla massa. Un circuito soprastante alla base mafiosa, delegata ad eseguire la parte militare del piano, e interno alla mente politica collettiva che quel piano aveva concepito, anche se poi quel piano mutò in corso d’opera per una serie di eventi sopravvenuti, e si puntò così ad una diversa soluzione incruenta.
In questo quadro c’è poi da chiedersi perché, in un’intervista del 1999, il professor Miglio, ex teorico della Lega Nord, dichiarò parlando dei fatti dei primi anni ‘90: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”. 
 
Andiamo avanti. 

L’ex neofascista Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna, il 4 marzo 1992 scrisse una lettera dal carcere al giudice Leonardo Grassi per anticipargli che “nel periodo marzo-luglio” si sarebbero verificati fatti per destabilizzare l’ordine pubblico con esplosioni dinamitarde e omicidi politici. Puntualmente il 12 marzo fu ucciso Lima e nel maggio e luglio ci furono le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 18 marzo Ciolini aggiunse che il piano eversivo era di “matrice masso-politico-mafiosa”, come rivelarono poi alcuni collaboratori di giustizia, e preannunciò un’operazione terroristica contro un leader del Psi. Anni dopo accertammo che era stato progettato l’omicidio di Claudio Martelli, fallito per alcuni imprevisti.   
   
Chi manca, alla “lista della spesa”? Quanti si celavano dietro la sigla della “Falange armata” i quali, pochi giorni dopo le dimissioni di Martelli da ministro perché coinvolto nelle indagini sul conto segreto svizzero “Protezione” a seguito delle dichiarazioni rese da Silvano Larini (il 9.2.1993) e da Licio Gelli (il 17.2.1993), diffusero il 21 aprile 1993 un comunicato per invitare Martelli a non fare la vittima e ad essere “grato alla sorte che anche per lui si sia potuta perseguire la via politica invece che quella militare”; e poi per lanciare avvertimenti a Spadolini, Mancino e Parisi, annunciando future azioni. Pochi mesi dopo, la manovra dello scandalo dei fondi neri del Sisde indusse Parisi a dimettersi, fece vacillare il ministro Mancino e anche il presidente Scalfaro, il quale denunciò che dietro quella vicenda si muovevano oscuri progetti di destabilizzazione politica.   
   
E poi? L’elenco sarebbe molto lungo e coinvolgerebbe tanti soggetti di quali non posso parlare, visti i limiti che derivano dal mio ruolo. Possiamo forse aggiungere alcuni di coloro che hanno concepito il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio: cioè la costruzione a tavolino, tramite falsi pentiti, di una versione minimalista che ha “tarato” le indagini verso il basso, circoscrivendola a una banda di piccoli criminali comeScarantino, e garantendo intorno ad essa un muro impenetrabile di omertà che ha retto fino a un paio di anni fa, cioè alle dichiarazioni autoaccusatorie di Spatuzza. Poi, se i riscontri dovessero confermare le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sono i vari “signor Franco” o “signor Carlo” che affiancarono suo padre Vito facendo da cerniera tra mondo mafioso e mondi superiori durante le stragi. E inoltre quanti garantirono a Provenzano, garante della soluzione politica alternativa a quella cruenta di Riina, di muoversi per anni liberamente per l’Italia e di visitare Vito Ciancimino gli arresti domiciliari. Poi coloro che fecero sparire l’agenda rossa di Borsellino. E tanti altri... 
  
Come gli ufficiali del Ros Mori e De Donno, ora imputati per la mancata cattura di Provenzano dopo la trattativa che portò all’arresto di Riina, con annessa mancata perquisizione del covo e sparizione delle carte segrete del boss. E i superiori militari e politici che autorizzarono quella “trattativa”. 
Non posso rispondere. Sono fatti ancora oggetto di indagini in corso.   
   
Su questa convergenza di ambienti e interessi lei, a Palermo, aveva avviato l’indagine “Sistema criminale”, poi in parte archiviata. Che cos’è il sistema criminale? 
Quello che abbiamo appena sintetizzato. Un sistema composto da esponenti di mondi diversi, tutti rimasti orfani dopo la caduta del Muro di Berlino delle passate protezioni, all’ombra delle quali avevano potuto coltivare i più svariati interessi economici e criminali, tra questi anche la mafia militare sino ad allora tollerata come anticorpo contro il pericolo comunista. Questi mondi intercomunicanti attraverso uomini cerniera erano accomunati da un interesse convergente: destabilizzare il sistema agonizzante della Prima Repubblica e impedire un ricambio politico radicale ai vertici del Paese con l’avvento delle sinistre al potere (la “gioiosa macchina da guerra”). Ciò doveva avvenire mediante la creazione di un nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto conquistare il potere mediante un’articolata strategia che si snodava contemporaneamente sul piano militare e politico. La nostra ipotesi, almeno sul piano storico, esce sempre più confermata dalle recenti scoperte investigative. Nella stagione delle stragi si muovono molteplici operatori che poi si dividono i compiti. Chi concepisce il piano, chi lo realizza a livello militare, chi organizza la disinformazione e chi i depistaggi. Basterebbe che cominciasse a parlare qualcuno che conosce anche solo la sua parte, per consentirci enormi passi avanti nella ricerca della verità. Ma, finora, non parla nessuno. 
   
Bè, mafiosi come Spatuzza e figli di mafiosi come Massimo Ciancimino parlano. E costringono a ricordare qualche esponente delle istituzioni: gli improvvisi lampi di memoria di alcuni politici, dopo 17-18 anni, sul ruolo di Mori durante la “trattativa” con Ciancimino fanno pensare che tanti a Roma sappiano molto, se non tutto...   Anche qui preferisco non addentrarmi in vicende specifiche, tuttora oggetto di indagini e processi. Prescindendo da casi specifici, vista dall’alto la tragica sequenza degli avvenimenti di quegli anni fa pensare al “gioco grande” di cui parlava Falcone: l’ennesimo gigantesco war game giocato all’interno di alcuni settori della nomenclatura del potere nazionale sulla pelle di tanti innocenti. Un war game trasversale combattuto anche a colpi di segnali, messaggi trasversali, avvertimenti in codice, veti incrociati e ricatti sotterranei: non potendo parlare esplicitamente tutti erano costretti a comunicare con linguaggi cifrati. 

Perché dice “ennesimo war game”? 
Tutta la storia repubblicana è segnata dal “gioco grande” celato dietro progetti di colpi di Stato   poi rientrati (dal golpe Borghese al piano Solo) e stragi caratterizzate da depistaggi provenienti da apparati statali: da Portella della Ginestra alla strage di Bologna alle stragi del 1992-93. Perciò la questione criminale in Italia è inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale e con la questione stessa dello Stato e della democrazia. 

Possibile che, in un Paese debole di prostata dove nessuno si tiene niente, i segreti sulle stragi custoditi da tanta gente tanto eterogenea restino impenetrabili a quasi vent’anni di distanza? Molte stragi d’Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Pensi aPortella della Ginestra: la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell’ordine, il ministero dell’Interno. Pensi alle stragi della destra eversiva. Così quelle politico-mafiose del 1992-93. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone, riuscendo a raggiungerle e a eliminarle anche nel carcere più protetto. Come Gaspare Pisciotta, testimone scomodo ucciso all’Ucciardone con un caffè alla stricnina, e a un’altra decina di persone al corrente dei segreti retrostanti la strage di Portella. E come Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia e strangolato in carcere. Resta inquietante lo strano suicidio in   carcere nel 1993 di Nino Gioè, appena arrestato e sospettato per Capaci, dopo strani incontri con agenti dei servizi e una strana trattativa avviata con Paolo Bellini, coinvolto in indagini sull’eversione nera negli anni 70, per aprire un canale con Cosa Nostra. Ed è inquietante che Nino Giuffrè, braccio destro di Provenzano, abbia raccontato di essere stato invitato a suicidarsi nel 2005, subito dopo l’inizio della sua collaborazione, ancora segretissima. Il muro dell’omertà comincia a fessurarsi solo quando il sistema di potere entra in crisi. 
  
È per questo che oggi si aprono spiragli importanti di verità? 
Presto per dirlo, ma ancora una volta la lezione della storia ce lo insegna. Quando la Prima Repubblica era potente, Buscetta, Marino Mannoia e altri collaboratori rifiutarono di raccontare a Falcone i rapporti mafia-politica: iniziarono a svelarli solo nel ‘92, quando quel sistema crollò, o meglio sembrò fosse crollato. 

Oggi il governo appena qualcuno torna a parlare, vedi Spatuzza, gli nega il programma di protezione. Che messaggio è? 
Quella decisione è stata presa contro il voto di dissenso dei magistrati della Procura nazionale antimafia che fanno parte della Commissione sui collaboratori di giustizia e contro il parere concorde dei magistrati di ben tre Procure della Repubblica antimafia: Caltanissetta, Palermo e Firenze. Intorno al caso Spatuzza e sul fronte delle indagini sulle stragi si è verificata una spaccatura assolutamente inedita tra magistrati e gli altri componenti della Commissione. Proprio perché non si tratta di una scelta di routine e proprio a causa di questa spaccatura, quella decisione in un mondo come quello mafioso che vive di segnali può essere equivocata e letta in modo distorto: nel senso che lo Stato in questo momento non è compatto nel voler conoscere la verità sulle stragi. Naturalmente non è affatto così, le motivazioni del dissenso sono di tipo giuridico, ma è innegabile che il pericolo esista. 

Dunque hanno ragione i pm di Caltanissetta quando dicono in Antimafia che la politica non è pronta a fronteggiare l’onda d’urto delle nuove verità sulle stragi? A me risulta che le loro dichiarazioni sono state riportate dalla stampa in modo inesatto. In ogni caso, sulle stragi e i loro retroscena abbiamo oggi un’occasione più unica che rara, forse l’ultima, per raccontare unastoria collettiva sepolta da quasi vent’anni di oblio organizzato. Per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire finalmente adulto. Se non dovessimo farcela neppure stavolta, non ci resterebbe che fare nostra un’amara considerazione di Martin Luther King: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.  
(Nella foto: Roberto Scarpinato)