Il futuro a 5 Stelle

Il futuro a 5 Stelle
Il futuro con il Movimento 5 stelle é un dono del cielo

Storia della Sardegna

Per gli appassionati propongo in questi giorni di festa questa suggestiva e approssimativa storia  della Sardegna..


La Sardegna
Coordinate: 40°00′N 9°00′E
<
chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere
con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso.>> Fabrizio De André, 1996.
<
spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà
stessa.>> David Herbert Lawrence, da “Mare e Sardegna”, 1921.
La Sardegna (in sardo  Sardigna,  Saldigna,  Sardinna o  Sardinnya; in catalano:  Sardenya) è
un'isola e una regione autonoma a statuto speciale facente parte della Repubblica Italiana.
Generalità. Lo Statuto Speciale, sancito nella Costituzione della Repubblica Italiana del 1948,
garantisce alle Istituzioni sarde una larga autonomia amministrativa e culturale. L'Isola è depositaria
di una millenaria cultura, con singolari peculiarità etniche e linguistiche.
L'accentuata insularità è stata il fattore predominante che ha contribuito a conservare le antiche
tradizioni anche se fin dall'antichità, esistevano continui rapporti commerciali e culturali con molti
popoli mediterranei ed europei, data la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo
occidentale.
In epoca moderna, molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato nelle loro opere la bellezza
dell'Isola, immersa in un ambiente in gran parte incontaminato, che ospita un paesaggio botanico e
faunistico con specie uniche e nel quale si trovano poi le vestigia della misteriosa Civiltà nuragica.
Lo scrittore inglese David Herbert Lawrence, nel suo pellegrinare all'interno delle Barbagie,
scriveva meravigliato nel suo diario di viaggio:
<
nell'antichità sia dai Fenici che dai Greci, fu da  questi ultimi chiamata Hyknusa o Ichnussa
(Ιχνουσσα), mentre i Latini la chiamarono invece Sardinia>>.
Geologia.  La storia geologica della Sardegna, insieme a quella della Corsica < sua isola
gemella < iniziò circa 100 milioni di anni fa, attraverso gli spostamenti e gli scontri tra la grande
placca africana, quella eurasiatica e quella nord
fenomeni crearono una profonda frattura che correva lungo tutta la costa che attualmente va dalla
Catalogna alla Liguria. I relativi lati rocciosi originati da questa frattura sono ancora visibili tra i
graniti cristallini che affiorano oggi in Provenza, nel massiccio dell' Esterel < tra Cannes e Fréjus < e
poi, oltre il Mare di Sardegna, sulla costa sud
sarda.
Regione Autonoma della Sardegna a statuto speciale.
Stato:  Italia
Zona:  Italia insulare
Capoluogo:  Cagliari
Superficie:  24.090 km²
Abitanti:  1.668.128 (aprile 2008)
Densità:  69,2 ab./km²
Province:
     Cagliari, Carbonia < Iglesias, Medio Campidano,
     Nuoro, Ogliastra, Olbia <  Tempio, Oristano, Sassari.
Politica
Presidente:  Ugo Cappellacci (PdL)
Ultime elezioni: 15 e 16 giugno 2009 3
Lungo questa spaccatura, circa 30 milioni di anni fa, si originò il distacco di una micro
che comprendeva a Nord
isole Baleari. Conseguentemente, la rotazione della placca sardo
progredire, determinò il sollevamento dal mare della catena degli Appennini e delle Alpi Apuane.
Furono queste le cause che portarono la Sardegna e la Corsica a migrare dalla parte continentale.
Esse raggiunsero la loro posizione attuale circa 6  – 7 milioni di anni fa e al fenomeno della
migrazione si aggiunse più tardi la tensione di apertura del Mar Tirreno, che creò conseguentemente
la conformazione orientale tra le due isole e la Penisola italiana.
Geografia. Quanto ad estensione la Sardegna costituisce la seconda isola italiana e dell'intero
Mediterraneo (23.821 km²), nonché la terza regione italiana avendo una superficie complessiva di
24.090 km². La lunghezza tra i suoi punti più estremi è di 270 km, mentre 145 sono i Km di
larghezza.
Gli abitanti sono circa 1,68 milioni, per una densità demografica di 69 abitanti per km².
Dista circa 187 miglia nautiche dalle coste della Penisola < dalla quale è separata dal Mar Tirreno
– mentre il Canale di Sardegna la divide dalle coste tunisine che si trovano 184 miglia nautiche
circa più a Sud.
A Nord, per 11 miglia nautiche, le bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica e il Mar di
Sardegna, ad Ovest, dalla Penisola iberica e dalle isole Baleari.
Si situa tra il 41° ed il 39° parallelo; il 40° la divide praticamente quasi a metà.
Più dell'80% del territorio è montuoso o collinare; per il 67,9% è formato da colline e da
altopiani rocciosi, alcuni dei quali, molto caratteristici, sono chiamati giare o gollei < se granitici o
basaltici < tacchi o tonneri < se in arenaria o calcarei.
Le montagne sono il 13,6% e sono formate da rocce antichissime, livellate da un lento e continuo
processo di erosione. Culminano nella parte centrale dell'Isola con Punta La Marmora, a 1.834 m
s.l.m., nel Massiccio del Gennargentu.
Da Nord, si distinguono i Monti di Limbara (1.362 m), i Monti di Alà (1.090 m), il Monte Rasu
(1.259 m), il Monte Albo (1.127 m) e il Supramonte con il Monte Corràsi di Oliena (1.463 m). A
Sud il Monte Linas (1.236 m) e i Monti dell'Iglesiente che digradano verso il mare con minori
altitudini.
Le zone pianeggianti sono il 18,5% del territorio;  la pianura più estesa è il Campidano, che
separa i rilievi centro settentrionali dai monti dell'Iglesiente, mentre la piana della Nurra si trova
nella parte nord
I fiumi hanno carattere torrentizio e i più importanti sono sbarrati da imponenti dighe che
formano ampi laghi artificiali, utilizzati principalmente per irrigare i campi; tra questi il bacino del
lago Omodeo, il più vasto d'Italia. Seguono poi il bacino del Flumendosa, del Coghinas, del Posada.
I fiumi più importanti sono il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas, il Cedrino, il Temo. L'unico lago
naturale è il lago di Baratz, a nord di Alghero.
Le coste si articolano nei golfi dell'Asinara a settentrione, di Orosei a oriente, di Cagliari a
meridione e di Alghero e Oristano a occidente. Per complessivi 1.850 km, sono alte, rocciose e con
piccole insenature che a nord
Litorali bassi, sabbiosi e talvolta paludosi si trovano nelle zone meridionali e occidentali: sono
gli stagni costieri, zone umide molto importanti dal punto di vista ecologico.
L'isola è circondata da molte isole ed isolette, tra le quali l'isola dell'Asinara, l'isola di San Pietro,
l'isola di Sant'Antioco, l'isola di Tavolara, l'arcipelago della Maddalena con Caprera.
Città
Le due aree metropolitane, i principali centri fra 60.000 e 25.000 abitanti, e quelli oltre i 10.000
abitanti.
Le città più importanti sono Cagliari, capoluogo regionale, e Sassari, secondo polo di rilevanza
regionale. 4
Cagliari (157.600 abitanti) è al centro di un'area urbana di 500.000 abitanti, i cui principali centri
sono Quartu Sant'Elena (71.200 ab.), Selargius (29.000 ab.), Assemini (26.500 ab.), Capoterra
(23.500 ab.), Monserrato (20.800 ab.), Sestu (19.100 ab.) e Quartucciu (12.400 ab.).
Sassari (130.200 ab.) ha un'area urbana che si espande soprattutto verso il golfo dell'Asinara, e
include i centri di Porto Torres (22.200 ab.) e Sorso (14.700 ab.), per un totale di 275.000 abitanti
circa.
Le rimanenti città svolgono funzione di polarità locale e hanno tutte una popolazione compresa
tra 10.000 e 60.000 abitanti: Olbia (53.000 ab.), Alghero (40.900 ab.), Nuoro (36.500 ab.), Oristano
(32.500 ab.), Carbonia (30.000 ab.), Iglesias (27.600 ab.), Villacidro (14.500 ab.), Tempio Pausania
(14.200 ab.), Arzachena (12.700 ab.), Guspini (12.500 ab.), Sant'Antioco (11.700 ab.), La
Maddalena (11.700 ab.), Siniscola (11.400 ab.), Ozieri (11.000 ab.), Macomer (10.800 ab.), Tortolì
(10.500 ab.) e Terralba (10.400 ab.). Tra i centri minori con meno di 10.000 abitanti sono inclusi
due capoluoghi di provincia: Sanluri (8.500 ab.) e Lanusei (5.700 ab.).
Clima:  Il clima mediterraneo è tipico di gran parte della Sardegna, tranne alcune zone interne
contraddistinte da un clima più rigido. Lungo le zone costiere, dove risiede la gran parte della
popolazione, si hanno inverni miti, grazie alla presenza del mare, con nevicate rare, all'incirca ogni
5 – 10 anni e temperatura quasi mai sotto lo zero, ed estati calde e secche; la bassa umidità e la
relativa mancanza d'afa, come la notevole ventosità, permette di sopportare facilmente le elevate
temperature estive, capaci di raggiungere normalmente i 35°C.
Nelle zone interne il clima è più rigido. Sui massicci montuosi più elevati nei mesi invernali
nevica e le temperature scendono sotto lo zero. D'estate il clima è fresco, soprattutto durante le ore
notturne e raramente caldo per molti giorni consecutivi.
Le precipitazioni risultano essere particolarmente scarse lungo le coste e nella zona meridionale,
con medie inferiori ai 500 mm annui; in particolare, la località di Capo Carbonara fa registrare il
valore minimo assoluto sia della regione che dell'intero territorio nazionale italiano, con una media
di soli 266 mm annui. Nelle aree interne della maggior parte dell'isola la piovosità media è di 500 <
800 mm e in prossimità dei principali rilievi montuosi, si registrano i valori pluviometrici maggiori
dell'intera regione, che possono anche superare i 1000 mm annui, per sopperire al problema della
siccità dalla fine dell'Ottocento ad oggi sull'intero territorio isolano sono stati realizzati circa 50
bacini idrografici, molti dei quali dotati di centrali idroelettriche.
È inoltre una regione molto ventosa ed il vento dominante è il Maestrale, ma si riscontra anche
una certa frequenza dello Scirocco. Il primo mitiga le temperature estive, ma per la sua velocità si
rivela spesso dannoso per i danni causati all'agricoltura e per la propagazione degli incendi, il
secondo si rivela dannoso in particolare in tarda primavera in quanto intensifica l'evapo <
traspirazione causando stress idrici alle colture non irrigue. Il regime dei venti ha favorito
l'installazione di numerosi impianti eolici sui crinali di alcuni rilievi e in alcune aree industriali.
Stazioni meteorologiche. In Sardegna sono ubicate le seguenti stazioni meteorologiche,
ufficialmente riconosciute dall'Organizzazione meteorologica mondiale:
Alghero Fertilia < Cagliari Elmas < Capo Bellavista < Capo Caccia < Capo Carbonara < Capo
Frasca
Storia. La Civiltà nuragica. Situata strategicamente al centro del mar Mediterraneo occidentale,
la Sardegna fu sin dagli albori della civiltà umana un attracco obbligato per quanti navigavano da
una sponda all'altra del Mar Mediterraneo in cerca di materie prime e di nuovi sbocchi commerciali.
Il suo territorio, ricco di boschi, di acque e di importanti minerali, fu luogo di insediamenti
importanti, e gli approdi naturali lungo le sue coste si rivelarono essenziali per le navi che
transitavano su rotte dirette verso altri porti.
Fu così che nella sua storia millenaria ha saputo trarre vantaggio sia dal proprio isolamento, che
ha consentito lo svilupparsi della civiltà nuragica, sia dalla propria posizione strategica, ostacolo
invalicabile nella rete degli antichi percorsi. 5
Il risultato è che nel suo antico bagaglio storico  si trovano segni di solide culture indigene
sviluppatesi nel corso dei secoli, così come gli influssi delle maggiori potenze coloniali antiche.
Sono ricche le testimonianze di queste presenze disseminate dappertutto lungo l'intera isola.
Una delle testimonianze più importanti di questa civiltà è la città nuragica di Su Nuraxi presso
Barumini che è stato classificato dall'Unesco come patrimonio mondiale dell'umanità.
Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu, la storia della Sardegna è caratterizzata da ciò che egli
definisce "la costante resistenziale sarda"
[1]
, e cioè la lotta millenaria condotta dai sardi contro i
colonizzatori.
I Sardi. Varie ipotesi si sono fatte sull’origine del popolo sardo. Originatisi a partire da una
popolazione mediterranea hanno avuto influenze eurasiatiche. Secondo alcune interpretazioni
linguistiche gli antichi sardi erano eredi come i baschi dell’antica cultura mediterranea pre –
indoeuropea, secondo altre, corroborate anche da recenti ritrovamenti archeologici essi parlavano
una lingua indoeuropea, probabilmente affine al Lidio
[2]
 .
Oggi è possibile ricostruire la storia naturale della popolazione attingendo alla informazione
contenuta nel DNA degli abitanti attuali. L'interpretazione della variabilità genetica li fa derivare in
buona parte da gruppi di genti arrivate in Sardegna attraverso varie migrazioni nel paleolitico e nel
neolitico.
Benché i Sardi abbiano una composizione genetica molto simile a quella degli altri Italiani ed
Europei si riscontrano delle differenze quantitative dovute molto probabilmente all’isolamento e
alla deriva genetica. La causa di questa differenziazione è dovuta in particolar modo alla larga
diffusione dell’aplogruppo I < M26 che è quasi esclusivo della Sardegna, diffuso sopratutto nella
zona centro
[3]
 .
Questo aplogruppo nel resto dell’Europa Occidentale si trova in bassissime percentuali mentre in
Sardegna compromette più del 40% della popolazione ed è molto probabilmente collegato ai primi
coloni che giunsero nel paleolitico dalla regione pirenaica
[4]
 .
L'isolamento e le difficili condizioni ambientali < ad esempio, la malaria < hanno generato nel
tempo particolari caratteristiche antropologiche e genetiche. Il differenziamento genetico si esplica
anche nella frequenza inusitatamente elevata di certe patologie come la talassemia, la malattia di
Wilson, il diabete, la sclerosi multipla e alcune altre malattie autoimmuni, dovute ad un singolare
effetto fondatore in combinazione con la selezione in un contesto di isolamento ambientale.
Anche il fenomeno della longevità in Sardegna è correlato a pattern caratteristici e distintivi, nel
cui ambito l'Isola vanta alcuni primati.
[5][6]
 Attualmente è presente una intensa attività di ricerca tesa
alla comprensione della componente genetica e ambientale implicata nel fenomeno.
Le lingue dei Sardi. Per la maggior parte dei linguisti il sardo è una lingua neolatina autonoma
appartenente al gruppo delle lingue indoeuropee, considerata la più conservativa tra le lingue
derivanti dal latino. In effetti < secondo questa corrente di pensiero < ai tempi di Giulio Cesare, un
cittadino romano, prima di partire per un breve viaggio, avrebbe molto probabilmente chiesto alla
moglie di preparargli una bisaccia dicendo <>: esattamente la 
stessa frase è attualmente ancora utilizzata in sardo per chiedere la stessa cosa.
[7]
Parlata ovunque nell'isola, sono unanimemente riconosciute dai glottologi due macro
(gruppi) non ancora unificate:
A nord il logudorese (costituisce il tipo tradizionalmente considerato più conservativo e
caratteristico) comprendente le parlate del Logudoro e del Nuorese. Il dialetto nuorese, nonostante
sia di tipo logudorese, in virtù dell'isolamento, si caratterizza per maggiore conservazione e fedeltà
a forme latine arcaiche rispetto al logudorese comune e per questo motivo viene talvolta trattato
come una variante autonoma.
A sud il campidanese, si presenta nel complesso come la varietà più innovativa, esprimendo a
tratti una maggiore e differente evoluzione rispetto alle varietà centro
un insieme di fattori quali una latinizzazione antecedente, maggiore esposizione a ondate successive
di latinizzazione, un generale maggior grado di contatto e accumulazione culturale, nonché
dinamiche intrinseche che hanno dato luogo a sviluppi autonomi, talora peculiari. Presenta vocaboli 6
di matrice fenicio
più diffusa. Al nord, oltre la logudorese, sono parlati due idiomi appartenenti al gruppo linguistico
corso – sardo: il gallurese (nome nativo gadduresu / gadu’rezu /) in Gallura (Gaddura), si avvicina
più articolatamente al dialetto parlato nella parte meridionale della Corsica. Il sassarese nella zona
di Sassari e con piccole variazioni in Romangia. Il sassarese è un idioma nato dalla commistione fra
corso, pisano, ligure e da una forte influenza del sardo logudorese. Ad Alghero è parlato un dialetto
della lingua catalana, il dialetto algherese. Sono  presenti infine anche altre parlate, a rischio di
estinzione, relative a gruppi esigui di popolazione:Nelle isole del Sulcis, a Calasetta e Carloforte, è
parlato un dialetto di tipo ligure arcaico (tabarchino) portatovi dai coloni di origine genovese esiliati
dall'isola di Tabarka (Tunisia) nel XVIII secolo. Ad Arborea (già Mussolinia di Sardegna) e a
Fertilia si parla un dialetto veneto, chiaro retaggio derivante dai coloni veneti arrivati sull'Isola
durante l'opera di bonifica delle paludi nel ventennio fascista. A Isili nel Sarcidano è ancora in uso
un gergo di origine zingara dei ramai ambulanti locali, parlato solo da un ristretto numero di
individui (Romaniska), ed è in via di estinzione.
Nell'ambito delle iniziative per la ufficializzazione dell'uso della lingua sarda, la Regione ha
avviato dei progetti denominati LSU (Limba Sarda Unificada) e LSC (Limba Sarda Comuna) al fine
di definire e normalizzare trascrizione e grammatica di una lingua unificata che comprenda le
caratteristiche comuni delle varianti logudorese, nuorese e campidanese.
Nell'aprile del 2006 la Limba Sarda Comuna è diventata lingua ufficiale per le comunicazioni
dell'amministrazione regionale.
La musica. La musica tradizionale sarda, sia cantata che strumentale, è una delle più antiche e
ricche del Mediterraneo: basti pensare che in un vaso risalente alla cultura di Ozieri < circa 3000
anni a.C. < si documenta un tipico ballo sardo, mentre l'origine delle launeddas viene fatta risalire
all'VIII secolo a.C., sulla base di un bronzetto raffigurante un suonatore ritrovato nelle campagne di
Ittiri.
Le launeddas. Le launeddas, sono composte da tre canne palustri: alla più lunga, detta tumbu, è
legata sa mancosa manna e poi sa mancosedda.
Tale strumento è formato essenzialmente da tre canne palustri: di cui due legate assieme la più
lunga, detta tumbu, e sa mancosa manna, alle quali si aggiunge sa mancosedda.
Per poter suonare le launeddas occorre conoscere una particolare tecnica di respirazione,
chiamata respirazione circolare (espirazione e inspirazione), grazie alla quale è possibile < per il
suonatore < fornire fiato continuo per diversi minuti.
Diversi studi sono stati fatti negli anni 1957 < 1958 e 1962 dal musicologo danese Andreas F.
Weis Bentzon, il quale ha registrato e filmato diverse esecuzioni musicali che poi ha catalogato e
trascritto su pentagramma.
Altri strumenti. Altri strumenti musicali tipici della Sardegna, oltre all'organetto, sono:
sa serraggia, costituita da una grossa canna, una sacca rigonfia ed una corda tesa che viene
sfregata con un archetto di lentischio; su pipiolu o pippiriolu (in logudorese), uno zufolo di canna;
su tumbarinu, un tamburo tipico di Aidomaggiore e di Gavoi.
Canto a tenore. Un'altra musica autoctona della Sardegna, in particolare della Barbagia, è quella
del canto a tenore (chiamato in sardo su concordu,  su tenore, su contrattu o s'aggorropamentu).
Questo è un canto polifonico, di cui non si conosce esattamente l'epoca della sua comparsa, e che
viene eseguito a quattro voci senza l'ausilio di alcuno strumento musicale. Nel 2005 il canto a
tenore è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità.
Cantu a chiterra. Il cantu a chiterra è un tipo di canto nato in Logudoro (probabilmente a Ozieri)
e che ha tuttavia avuto una gran diffusione e sviluppo in Gallura. Probabilmente si configura con il
contatto con la cultura aragonese e spagnola.
Il cantu a chiterra ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo poiché, durante le feste
paesane, si svolgono delle vere e proprie gare. In queste competizioni si confrontano 3 cantadores,
in genere maschi, che vengono accompagnati da un chitarrista e sempre più spesso anche da un
fisarmonicista. 7
Esistono diversi tipi di cantu a chiterra, alcuni probabilmente derivati da melodie che esistevano
ancor prima che venissero accompagnate con questo strumento. I tipi di canto più famosi sono:
Su Cantu in re (nato in Logudoro) e da cui derivano alcune varianti quali il canto in re "a
s'Othieresa", “a sa Piaghesa”, e " sa Perfughesa"; < S'isolana, che è una versione semplificata della
cosiddetta "Piaghesa antiga" (cioè la ploaghesa antica); < Sa Nuoresa; < Sos Mutos, presenti in tutta
l'isola; < La Tempiesina, (nato a Tempio, in Gallura); < La Filognana (noto anche come sa
Filonzana), di origine gallurese; < La Corsicana, nato in Gallura; < Su Trallalleru, originario del
Campidano.
Ci sono poi altre varianti del canto che si possono definire complesse, sia per la ricercatezza dei
motivi musicali che per la difficoltà di esecuzione. Su Fa diesis; < Su Si bemolle; < Su Mi e La,
originario probabilmente di Bosa, in Planargia; < Sa Disisperada, uno dei canti più recenti.
Feste popolari. Le feste scandiscono da sempre la vita delle comunità isolane e oggi più che
mai, soprattutto con la rivalutazione di molte sagre minori, esse sono legate al desiderio (ed alla
necessità) di riaffermare la propria unica identità culturale.
In Sardegna, andare per feste significa immergersi in una cultura antica alla scoperta di suoni e di
armonie sconosciute, di balli ritmici con ricchi costumi tradizionali, di gare poetiche fuori dal
tempo, di sfrenate corse di cavalli, di sfilate folcloristiche < a piedi o a cavallo < con preziosi e
coloratissimi abiti d'altri tempi.
Spesso le feste durano diversi giorni e coinvolgono tutta la comunità; molte volte, per
l'occasione, vengono preparati dolci speciali ed organizzati banchetti con pietanze tradizionali a cui
tutti possono partecipare.
Le feste popolari più importanti dell'isola sono: Sant'Efisio a Cagliari, la Sagra del Redentore a
Nuoro, S'Ardia a Sedilo, la Cavalcata sarda e la Faradda a Sassari, Sa Sartiglia a Oristano, San
Gavino a Porto Torres.
Gastronomia.  La cucina sarda si basa su ingredienti molto semplici derivati dalla tradizione
pastorale e contadina e, lungo le coste, dalla tradizione marinara. È molto varia e cambia da regione
a regione non solo nel nome delle pietanze ma anche negli ingredienti.
Come antipasti sono diffusi i prosciutti di cinghiale e di maiale, le salsicce, accompagnati da
olive e funghi, mentre per i piatti a base di pesce si possono scegliere vari antipasti di mare.
Primi piatti tipici sono i malloreddus, i culurjonis, i cui ingredienti variano da regione a regione,
il pane frattau, la fregula, la zuppa gallurese.
Come secondi piatti, gli arrosti costituiscono una  peculiare caratteristica della cucina isolana,
tanto che quello del maialetto, su porcheddu, è considerato l'emblema della cucina sarda.
Il pane. Diverse tecniche, trasmesse di generazione in generazione per lavorare la pasta, insieme
ai molteplici procedimenti per farla lievitare, contribuiscono ad offrire una vasta scelta di originali
forme di pane in ogni regione dell'isola.
Il più conosciuto è il pane carasau, venduto anche nel continente e formato da una doppia sfoglia
croccante, rotonda e piatta. Il nome deriva da carasare che in sardo significa tostare.
Altri tipi di pane comunemente usati sono: il Guttiau, ossia il pane carasau intinto d'olio, salato e
scaldato al forno; il Pistoccu; il Civraxiu, una grande pagnotta che si consuma a fette.
Pani votivi e dolci. Legata a particolari ricorrenze, la lavorazione dei pani votivi e la
preparazione dei dolci – in certe regioni dell'isola – può diventare un'arte. Gli ingredienti sono
semplici e vanno dalla farina di grano duro alle mandorle, al miele. In alcuni dolci si usa come
ingrediente anche il formaggio o la ricotta.
A gennaio in alcune regioni, per i falò di Sant'Antonio, vengono preparati come dolci le
Cozzuleddas, i Pirighitos e il Pistiddu. Per Carnevale si preparano le Frijolas, le Cattas e le
Orulettas.
Per la festa di San Marco sono tipici i pani votivi artistici, gialli per la presenza dello zafferano,
decorati con delle particolari fantasie floreali che sono delle vere e proprie effimere opere d'arte.
Per la Pasqua si preparano le Pizzinnas de ovu, le Casadinas e la Pischedda.
Per Ognissanti dolci caratteristici sono il Pane di sapa e i vari Papassinos.  8
Per i matrimoni si preparano dolci molto variegati e ricchi di decorazioni come i singolari Gattò,
sos Coros, s'Arantzada. In altre occasioni, sono comunemente diffusi il torrone, le Seadas, i
Rujolos, i Mostaccioli, sos Sospiros.
I formaggi.  La Sardegna, grazie alla sua atavica tradizione pastorale, offre la più vasta
produzione di formaggi pecorini d'Europa.
Sono esportati ed apprezzati ovunque, ma soprattutto in Nord America. Vi si trovano: i
canestrati, pecorini stagionati in cesti di vimini; le Paste di pecorino, simili alle creme di formaggio;
la Frue (o casu ageru o casu 'e fitta), considerabile l'antenata della Feta greca; i pecorini a pasta
molle (Friscu) e quelli a pasta dura (DOP); su Brotzu (Brocciu nelle Gallure), ricotta di antichissima
tradizione; su Gioddu, una sorta di yogurt di pecora; su Casizzolu (o casu conzeddu), una sorta di
peretta fatta con latte vaccino.
Vini e liquori. Da sempre la Sardegna è stata considerata un vigneto in mezzo al mare. Alcune
ricerche archeologiche hanno evidenziato che già al tempo della civiltà nuragica si coltivava la
vite
[8]
 e si produceva vino. Tale tradizione è continuata  con i Romani e poi, attraverso le varie
occupazioni straniere, si è ancora arricchita.
Tra i vini rossi il Cannonau è il più importante, insieme alla Monica, al Carignano, al Girò,
mentre tra i bianchi i più rinomati sono il Vermentino di Gallura (DOCG), la Malvasia di Bosa, il
Nasco, il Torbato, il Nuragus, il Moscato, senza dimenticare la tipica Vernaccia. Negli ultimi anni
diversi vitigni minori sono stati riscoperti ed al  momento sono oggetto di una importante
valorizzazione da parte di diversi produttori sardi. È il caso di vitigni come il Cagnulari (che era in
via di estinzione), del Caddiu (valle del Tirso), del Semidano e altri.
Vista la lunga tradizione, molti vini sono D.O.C.,  come il Cannonau, e variano di gusto e di
gradazione a secondo delle regioni in cui vengono prodotti: quello di Jerzu è uno dei più conosciuti
insieme al Nepente di Oliena.
Tra i liquori, quello di Mirto (sia bianco che rosso), la fortissima grappa filu 'e ferru ed il
Villacidro sono tra i più diffusi.
Ambiente naturale. Per estensione, la Sardegna è la terza regione italiana e la seconda isola del
Mediterraneo. Il suo paesaggio naturale alterna profili montuosi dalla morfologia suggestiva a
macchie e foreste, stagni e lagune a torrenti tumultuosi, lunghe spiagge sabbiose a scogliere
frastagliate e falesie a strapiombo.
Le formazioni calcaree costituiscono il 10% della superficie dell'isola e sono frequenti i
fenomeni carsici nei settori centro orientale e sud occidentale dell'isola, con la formazione di grotte,
voragini, doline, laghi sotterranei, sorgenti carsiche, come quelle di Su Gologone di Oliena.
Suggestive sono le formazioni rocciose granitiche,  caratterizzate da guglie frastagliate che la
continua l'erosione degli agenti atmosferici ha spesso modellato, creando delle singolari sculture,
sparse su tutta l'isola, come l'orso di Palau, l'elefante di Castelsardo, il fungo di Arzachena.
Grotte naturali. Le grotte sono un altro elemento pittoresco dell'ambiente naturale dell'isola.
Tra quelle sommerse, la Grotta di Nereo è da molti è ritenuta la più famosa e la più vasta grotta
sommersa marina di tutto il Mediterraneo. È ubicata sotto il promontorio di Capo Caccia (Alghero)
e al suo interno si possono ammirare intere pareti di roccia ricoperte di corallo rosso.
Fra le grotte litoranee le più conosciute ricordiamo: le Grotte di Nettuno ad Alghero,
la grotta del Bue Marino a Cala Gonone.
Fra le grotte terrestri, sono particolarmente suggestive quelle di: Sa Oche e Su Bentu ad Oliena, <
Is Zuddas a Santadì, < Su Mannau a Fluminimaggiore, < Santa Barbara, ad Iglesias, < Su Marmuri,
ad Ulassai, < Ispingoli, presso Dorgali; < San Giovanni, nei pressi di Domusnovas; < la Grotta Verde,
nei pressi di Alghero.
Parchi. Più di 600.000 ettari di territorio sardo sono sotto protezione ambientale. Anche se il
varo di alcuni parchi procede con qualche difficoltà, sono sotto tutela alcuni dei più affascinanti
tratti della costa sarda e ampi territori dell'interno.
Questo patrimonio naturale si integra con quello storico e culturale, rappresentato dagli antichi
siti d'interesse archeologico e dai resti dei più recenti complessi dell'attività mineraria. La Regione 9
Autonoma, per conservare e valorizzare questo patrimonio unico, con la legge n. 31 del 7 giugno
1989 ha definito le aree protette sottoposte a tutela che si trovano sull'isola. Complessivamente si
contano: 3 parchi nazionali < 8 parchi regionali < 60 riserve naturali < 24 monumenti naturali < 16
aree di rilevante interesse naturalistico < 5 oasi del W.W.F.
Fauna terrestre. Il patrimonio faunistico annovera diversi esempi di specie di grande interesse.
La fauna dei Vertebrati superiori mostra analogie e differenziazioni rispetto a quella del continente
europeo. Le analogie si devono alla migrazione nel corso delle glaciazioni oppure all'introduzione
da parte dell'uomo nel Neolitico o in epoche più recenti. Le differenziazioni si devono invece al
lungo isolamento geografico che ha originato neoendemismi a livello di sottospecie o, più
raramente, di specie.
Le popolazioni dei grandi mammiferi erbivori (Cervidi e Muflone) hanno subito una drastica
contrazione, arrivando a vere e proprie emergenze fino agli settanta, ma negli ultimi decenni hanno
ripreso una sensibile crescita grazie alle azioni di tutela. Il Cinghiale sardo invece è ampiamente
diffuso in tutta l'isola e così pure diverse specie di Roditori e Lagomorfi. I predatori più grandi sono
la comune volpe sarda e il raro gatto selvatico sardo, ai quali si affiancano i piccoli carnivori come i
Mustelidi. È presente anche una variante dell'asino domestico, è l'asinello bianco presente solo in
Sardegna e più precisamente sull'Isola dell'Asinara, se ne contano circa 90 esemplari.
L'interesse per l'avifauna si articola in tre contesti: i rapaci, l'avifauna delle aree umide e quella
delle scogliere. I rapaci sono rappresentati da quasi tutte le specie europee, fra le quali ci sono
alcune sottospecie endemiche. La maggior parte è associata alle zone forestali di montagna e di
collina, tuttavia alcune sono molto comuni anche in pianura e in aree antropizzate. Si sono
purtroppo estinte due specie di avvoltoi e sopravvivono solo nei territori di Bosa e Alghero alcune
colonie di grifoni.
L'avifauna delle zone umide vanta un lungo elenco di specie, molte minacciate dalla forte
contrazione dell'habitat. L'elevato numero di stagni costieri e lagune (circa 12.000 ettari, pari al
10% del patrimonio italiano) fa sì che questa regione, annoveri ben otto siti di Ramsar (secondo
posto in Italia, dopo l'Emilia Romagna). Il simbolo di questa fauna è il fenicottero maggiore, che in
alcuni stagni forma colonie di migliaia di esemplari. Questa specie, storicamente svernante negli
stagni sardi, da diversi anni è anche nidificante.
Dei 2.400 km di coste, il 76% è costituito da scogliere e da un grande numero di isole e scogli. È
questo il regno degli uccelli marini, che possono formare colonie di centinaia o migliaia di
individui. Fra le specie di maggiore interesse c'è il rarissimo gabbiano corso.
I vertebrati terrestri minori comprendono Rettili e Anfibi fra i quali si annoverano molti
importanti endemismi tirrenici, sardo
localizzazione geografica.
Flora terrestre.  La vegetazione spontanea dell'isola è tipicamente mediterranea. Le zone
fitoclimatiche presenti in Sardegna si limitano al Lauretum e alla sottozona calda del Castanetum,
quest'ultima limitata alle aree interne e montuose  più fredde. La vegetazione boschiva è perciò
rappresentata in gran parte da macchia mediterranea e foresta sempreverde e solo oltre i 1.000 metri
è significativa la frequenza delle specie caducifoglie del Castanetum.
L'essenza prevalente è il leccio, accompagnato e in parte sostituito dalla roverella nelle stazioni
più fredde, e dalla sughera in quelle più calde. Nelle stazioni fredde persistono inoltre relitti di
un'antica flora del Cenozoico (tasso, agrifoglio, acero trilobo. Sulla sommità dei rilievi metamorfici
del Paleozoico, a 1000 < 1900 metri, si sviluppano steppe e garighe assimilabili alla flora alpina che,
nelle altre regioni, occupa quote di 2500 < 3500 metri.
La copertura boschiva è ciò che resta di intensi disboscamenti che hanno raggiunto il suo
culmine nella seconda metà del XIX secolo. Il passaggio di vasti territori dalla Cassa Ademprivile
al Demanio dello Stato e, in seguito, all'ex A.F.D.R.S. ha permesso la salvaguardia e la lenta
ricostituzione del patrimonio boschivo residuo, nonostante la minaccia annuale degli incendi. Il
grave degrado di vaste aree espone l'isola alla desertificazione, ma il patrimonio boschivo vanta
alcune peculiarità, come la macchia
demaniale di Montes, una delle ultime leccete primarie del Mediterraneo. L'opera di tutela e
recupero del patrimonio residuo, oggi pone l'isola come la regione italiana con maggiore superficie
forestale, con 1.213.250 ettari di boschi (secondo i dati dell'Inventario nazionale foreste e carbonio
del Corpo Forestale dello Stato, pubblicati nel maggio 2007
[9]
 .(
Di grande interesse botanico, per gli endemismi e le rarità, sono anche le associazioni floristiche
"minori" che popolano gli stagni costieri, i litorali sabbiosi e le scogliere.
Flora e fauna acquatiche.  L'ambiente marino è caratterizzato dalla straordinaria limpidezza
dell'acqua. La maggior quantità di luce che raggiunge il fondale consente alla posidonia
[10]
 di
crescere ben più profonda rispetto il suo limite naturale.
I paesaggi sommersi sono molto complessi e ricchi di colori per la varietà di Pesci, spugne e
coralli.
Un cenno particolare va fatto alla foca monaca. A lungo perseguitata dai pescatori e disturbata
dai vacanzieri, si pensa che sia ormai estinta. L'ultima riproduzione documentata risale al 1978,
mentre in seguito sono stati documentati avvistamenti attribuibili a giovani in deriva.
Gli endemismi.  L'ambiente naturale della Sardegna è caratterizzato da un elevato numero di
endemismi.
Alcuni di questi sono paleoendemismi ossia relitti della fauna e della flora ancestrale risalente al
Cenozoico prima del distacco della placca sardo
propri fossili viventi, si sono anticamente estinte nel continente mentre sono sopravvissute in
condizioni particolari nell'isola.
La maggior parte delle specie endemiche sono invece neoendemismi, prodotti da un'evoluzione
differenziale a partire dal Neozoico o da epoche più recenti, grazie all'isolamento geografico.
Gli endemismi botanici accertati sono oltre 220 e rappresentano circa il 10% di tutta la flora
sarda. Alcuni di questi sono delle vere rarità anche per il basso numero di esemplari e per la
limitatissima estensione dell'areale, in alcuni casi ridotto a pochi ettari.
Economia.  Dati economici.  I metalli, l'agricoltura e la pastorizia furono nell'antichità le tre
principali risorse che portarono l'isola al centro di intensi traffici commerciali. Prima l'ossidiana, poi
l'argento, lo zinco e il rame sono stati per molto tempo una vera ricchezza per la Sardegna. Dopo il
secolare sfruttamento, attualmente, le prospettive per le miniere sarde sono molto limitate e le zone
minerarie (tra le quali spicca il Sulcis
E infatti, oltre al commercio, al pubblico impiego  e alle nuove tecnologie, l'attività trainante
dell'economia è il turismo, sviluppatosi inizialmente lungo le coste settentrionali e orientali
dell'isola. Il terziario è il settore che occupa il maggior numero di addetti; gli occupati sono ripartiti
nei tre settori nelle seguenti percentuali: 8,7% al primario; < 23,5% all'secondario; < 67,8% al
terziario.
Il tasso di disoccupazione sull' Isola nel 2007 (secondo l' ISTAT) si attestava sull'8,6%. In
Sardegna il prodotto pro capite è di 17.507 € (dati Eurostat), il più elevato tra le regioni del
Mezzogiorno.
Turismo.  Grazie al clima mite, caratterizzato da scarse precipitazioni concentrate nei mesi
invernali, e grazie ai paesaggi incontaminati, alla purezza della acque marine, all'interesse storico e
archeologico di tante località, la Sardegna è motivo di grande richiamo e attira ogni anno un gran
numero di vacanzieri (nel 2007 le presenze turistiche sull'isola per la prima volta hanno superato i
10 milioni di visitatori.
Alghero e la Riviera del Corallo, Castelsardo, la Costa Smeralda, Dorgali, La Maddalena, Loiri
Porto San Paolo, Olbia, Orosei, Palau, Porto Cervo, Porto Rotondo, Porto Torres, Pula, Chia, San
Teodoro, Santa Teresa, Siniscola, Stintino, Villasimius sono rinomate località di fama
internazionale. Ovunque, lungo la costa ma anche sulle isole, sono sorti villaggi turistici, molti dei
quali con servizi di animazione, e alberghi esclusivi.
Il boom turistico si sviluppò a cavallo tra gli anni 1950 e 1960, favorito dal fatto che la malaria,
diffusa principalmente lungo le coste, era stata eradicata definitivamente, si diede così il via agli
investimenti nel settore turistico. I primi piani di sviluppo turistico regionali, risalgono al 1948 11
(quindi in contemporanea con l'acquisizione dello status di regione autonoma), e le prime
promozioni e realizzazioni infrastrutturali furono  attuate attraverso l'Ente Regionale ESIT (Ente
Sardo Industrie Turistiche). Fra queste la più importante fu la realizzazione, nei primi anni '50,
dell'albergo Miramar ad Alghero, che fu la prima città turistica della Sardegna.
Il vero boom turistico di dimensioni internazionali avvenne nei primi anni '60 allorché fu fondata
dal principe ismailita Āgā Khān la Costa Smeralda, i cui centri principali sono Porto Cervo, Liscia
di Vacca, Capriccioli, Cala di Volpe e "Romazzino" e i due borghi vicinissimi a porto Cervo del
Pevero e di Pantogia quasi i due quartieri di superlusso di Porto Cervo . Sin dagli inizi la Costa
Smeralda si caratterizzò principalmente come turismo di elite, basato sulla possibilità di attracco per
i diportisti, qualità delle strutture ricettive e delle infrastrutture, e sulle bellezze naturali. La Costa
Smeralda divenne da subito un luogo di elezione del Jet set internazionale e quindi una delle località
più ambite nel Mediterraneo.
A questa iniziativa seguirono una miriade di altri  insediamenti, con una offerta turistica simile,
quali Porto Rotondo, Porto Raphael, Baja Sardinia per citarne alcuni nelle vicinanze, ma anche nel
resto della Sardegna il settore si sviluppò in maniera esponenziale, fino a divenire uno dei settori
principali delle attività economiche dell'isola.
In questi ultimi anni il settore turistico si sta modificando verso un'offerta diversificata e
destagionalizzata; quindi non solo mare e spiagge, ma anche nuove proposte come l'archeologia,
l'arte e la cultura, il turismo congressuale, tutte le attività che portano a contatto con l'ambiente
naturale, come il turismo equestre, l'escursionismo, l' osservazione degli uccelli, il golf, la vela,  il
turismo subacqueo. Inoltre per quanto riguarda le infrastrutture è molto sviluppata l'offerta degli
agriturismi e bed & breakfast.
Agricoltura e Allevamento. L'agricoltura sarda è oggi legata a produzioni specializzate come
quelle vinicole e quelle del carciofo. Le bonifiche e l'irrigazione hanno permesso di estendere
comunque le colture e di introdurre alcune coltivazioni specializzate quali riso, ortaggi, primizie e
frutta, accanto a quelle tradizionali dell'olivo e della vite che prosperano nelle zone collinose.
La piana del Campidano produce frumento, orzo e avena, della quale è una delle principali
produttrici italiane. Nell'ortofrutta, oltre ai carciofi, sono di un certo peso la produzione di
pomodoro e agrumi.
Per secolare tradizione, la percentuale degli addetti alle attività primarie è alta e l'allevamento
rappresenta una fonte di reddito molto importante. Attualmente nell'isola si trova circa un terzo
dell'intero patrimonio ovino e caprino italiano. Oltre alla carne, dal latte ricavato si produce una
grande varietà di formaggi; basti pensare che la metà del latte ovino prodotto in Italia viene dalla
Sardegna e viene in gran parte lavorato dalle cooperative dei pastori e da piccole industrie.
L'altra forma di allevamento molto diffusa è quella del cavallo, principalmente razza anglo<
arabo. La Sardegna vanta una tradizione secolare nell'allevamento dei cavalli sin dalla dominazione
Aragonese in cui la cavalleria attingeva dal patrimonio equino dell'isola per rimpinguare il proprio
esercito o per farne ambito dono ai sovrani d'Europa.
Pesca. Resa insicura, in passato, dalle frequenti scorrerie saracene, la pesca è oggi un'attività che
i Sardi stanno riscoprendo sempre di più, vista la pescosità di alcune zone marine e le lunghissime
coste dell'isola. È molto sviluppata a Cagliari, ad Alghero e nelle coste del Sulcis: da queste zone
proviene la maggior parte del pescato sardo.
Tale attività ha una certa rilevanza anche in Gallura e soprattutto nell'Oristanese, dove i pescatori
lavorano nei vasti stagni e nelle peschiere e si pescano in grandi quantità anguille e muggini. Ottima
è anche la produzione di mitili, specialmente ad Olbia.
Nelle zone di Alghero, Bosa e Santa Teresa è molto  attiva la pesca alle aragoste insieme alla
raccolta del corallo.
Di antica tradizione e mai abbandonate, nonostante la rarefazione del tonno, sono ancora molto
importanti le tonnare di Carloforte e di Portoscuso. Costituiscono un pezzo di storia e di tradizione
dei pescatori sardi, e certi riti, insieme a particolari tecniche di pesca, sono rimasti immutati nel 12
tempo, come la lavorazione stessa delle bottarghe e delle frattaglie. Gran parte dei tonni vengono
esportati direttamente in Giappone, dove sono consumati entro 72 ore dalla pesca.
L'industria. La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore
minerario) è principalmente dovuta all'apporto di finanziamenti statali, concentrati soprattutto negli
anni 1960 < 1970, e denominati "piano di Rinascita". La politica economica finalizzata
all'accrescimento industriale nell'Isola si è caratterizzata in quel periodo con la formazione dei
cosiddetti poli di sviluppo industriali, a Cagliari (Macchiareddu e Sarroch) , Porto Torres e in un
secondo momento ad Ottana. Sono sorti così i complessi petrolchimici e le grandi raffinerie per la
lavorazione del greggio, che si collocano attualmente tra le maggiori d'Europa, inoltre, sull'isola, si
producono piattaforme petrolifere, per conto della Saipem.
Altri settori industriali sono quello alimentare, legato alla lavorazione dei prodotti dell'
allevamento (formaggi, latte, carni) e della pesca  (lavorazione del tonno), manifatturiere, tessili,
lavorazione del sughero, meccaniche (produzione di mezzi agricoli, cantieristica navale, ferroviaria,
componentistica per aeromobili), edile e metallurgico.
L'energia viene prodotta, in misura anche superiore al fabbisogno, da centrali idroelettriche
alimentate dai bacini che raccolgono le acque dei fiumi, da centrali termoelettriche alimentate a
carbone di importazione estera e da numerosissime centrali eoliche, sparse sull' intero territorio
isolano.
L'artigianato. L'artigianato tradizionale sardo è un insieme di arti popolari estremamente vario,
sviluppato in campi molto diversi, ricco di gusto e originalità. Alcune di queste forme artistiche
sono di origine molto antica ed hanno subito l'influenza delle diverse culture che hanno segnato la
storia dell'isola.
La ceramica è diffusa in diverse zone,
[14]
 ma i maestri più noti operano ad Assemini,
Decimomannu, Dorgali, Oristano, Pabillonis, Siniscola, Villaputzu.
La tessitura in lana, cotone e lino di tappeti, arazzi, cuscini e tende
[15]
 è in larga parte ancora
praticata a mano con telai di concezione molto antica, ma molte delle produzioni meccanizzate
mantengono le caratteristiche della tradizione. Le  più famose sono quelle di Bonorva, Dorgali,
Nule, Nuoro, Osilo, Samugheo, Sarule, Sedilo, Tonara e Mogoro.
I lavori tradizionali di oreficeria, dal gusto molto raffinato, sono in filigrana. I gioielli
rappresentano una delle testimonianze artigianali più autentiche dell'isola. Costituiscono parte
integrante dei costumi tradizionali, e la scelta di spille e bottoni in filigrana e di collane arricchite
con corallo, pietre dure e perle è molto vasta. Gli orafi
[16]
 e gli argentieri più apprezzati sono quelli
di Bosa, Iglesias, Oristano, Nuoro, Sassari, Sinnai e Oliena, nota anche per la produzione di scialli
neri,
[17]
 con ricami in colori vivaci e fili d'oro e d'argento. Ad Alghero, insieme alle produzioni in
filigrana, viene lavorato anche il corallo.
La lavorazione del legno è caratterizzata da prodotti originali e tipicamente sardi, come le
cassapanche intagliate, le sedie impagliate di Assemini, le bisere dei Mamuthones (ossia le
maschere,
[18]
 tradizionali di Mamoiada e Ottana) e le produzioni in sughero di Calangianus. A
Castelsardo, Ollolai, Olzai, San Vero Milis, Tinnura e Sinnai, l'artigianato più tipico è la
lavorazione di cestini,
[19]
 in fibre vegetali.
Altra antica tradizione artigianale sarda è quella  della arresoya, resolza o resorza (dal termine
latino rasoria che indicava un genere di coltello con la lama pieghevole). Quelle da collezione non
sempre sono a serramanico, ma anche a manico fisso, generalmente in corno di montone o di
muflone e intarsiate a mano. Dalla classica lama a folla 'e murta (a foglia di mirto), sono chiamate
anche lepa e sono considerate dagli appassionati delle vere e proprie opere d'arte.
Le miniere. La Sardegna è la regione italiana con il sottosuolo più ricco di minerali. Conosciuti
sin dall'antichità, alcuni centri minerari erano sfruttati per l'estrazione di piombo, zinco, rame e
argento (la galena argentifera conteneva fino a 10 kg d'argento per tonnellata di minerale).
A partire dal 1800, furono aperte miniere di carbone, antimonio e bauxite: i giacimenti più
importanti si trovano nell'Iglesiente, nel Sulcis, nel Guspinese < Arburese, nel Sarrabus, nella Nurra
e nella zona dell'Argentiera. 13
Attualmente l'attività estrattiva sta attraversando un periodo di grave crisi e molte miniere sono
state chiuse perché poco competitive: l'economia dell'Iglesiente si sta legando non più alle miniere
ma al turismo e allo sviluppo del Parco Archeologico Minerario, sotto il patrocinio dell'Unesco, con
la salvaguardia del patrimonio storico e architettonico delle miniere e utilizzando la bellezza
incontaminata delle sue coste come sua altra grande risorsa.
Da una quindicina d'anni la Sardegna è stata caratterizzata da una corsa alla ricerca di giacimenti
auriferi, grazie soprattutto all'intervento di società minerarie australiane, attualmente è l'unica
regione italiana in cui l'estrazione dell'oro avviene con metodi industriali. La principale miniera è
localizzata a Furtei, la quale è destinata alla chiusura per l'esaurimento del filone superficiale, altre
zone ricche di questo minerale sono ubicate nella sub
attività di estrazione sono bloccate per ragioni di sicurezza e preservazione dell'ambiente.
Nonostante una civiltà plurimillenaria e una popolazione residente quasi triplicatasi negli ultimi
140 anni, la Sardegna è una delle poche regioni europee in cui un'economia moderna e diversificata
convive con un ecosistema ancora intatto, se non vergine, in vaste aree del territorio; questo fatto è
spiegabile demograficamente grazie alla bassa densità abitativa, pari a 68 ab./km².
Il milione e seicentomila sardi risiedono nell'Isola consegnando il territorio al terzultimo posto
per la densità fra le regioni italiane, preceduto solo dalla Valle d'Aosta con 37 ab./km² e dalla
Basilicata con 60 ab./km².
Inoltre questa densità si ritrova equamente distribuita fra le province che presentano tutte valori
simili (42, 88, 70, 30, 40, 55, 78 ab./km² per le province di Nuoro, Carbonia < Iglesias, Medio
Campidano, Ogliastra, Olbia < Tempio, Oristano e Sassari rispettivamente), tranne nel caso della
Provincia di Cagliari che tocca i 119 ab./km², dato comunque sempre sensibilmente inferiore alla
densità media italiana (194 ab./km²).
Nel 2007 i nati sono stati 13.383 (8,0 ‰), i morti 14.272 (8,4 ‰) con un incremento naturale di <
889 unità rispetto al 2006 (<0,4 ‰). Il 31 dicembre 2007, su una popolazione di 1.665.617 abitanti,
si contavano 25.500 stranieri (1,5%). Le famiglie contano in media 2,5 componenti.
Immigrazione. La particolare posizione geografica, inserita al  centro del Mediterraneo, le
ricchezze minerarie e le fertili pianure, hanno fatto della Sardegna, sin dall'antichità, un'isola molto
ambita dalle potenze coloniali antiche.
Sempre in guerra con i Sardi dell'interno, mai assoggettati, sia i Cartaginesi che i Romani
deportarono nell'Isola un vasto numero di schiavi,  utilizzati per lavorare nelle miniere e nelle
pianure come agricoltori, per la produzione intensiva di cereali.
Importante fu anche l'afflusso di genti iberiche durante la dominazione aragonese e spagnola,
mentre in epoca moderna, nel XIX secolo, furono molteplici gli insediamenti di pescatori Campani
provenienti da Ponza e Torre del Greco, che si stabilirono nei centri marinari della costa nord
orientale.
Arrivarono poi popolazioni venete, chiamate da Mussolini ad insediarsi nelle bonifiche
dell'oristanese e che fondarono Mussolinia (1928), chiamata poi Arborea. Molti minatori giunsero
da diverse parti d'Italia per popolare il grosso centro minerario di Carbonia, nel Sulcis (1938). Gli
ultimi arrivi di popolazioni in ordine temporale, furono i Giuliano < Dalmati nel 1947, scampati
all'epurazione etnica perpetrata in Dalmazia e nell' Istria: si stabilirono a Fertilia, presso Alghero,
nella Nurra.
Emigrazione.  I primi flussi emigratori considerevoli in Sardegna si registrano verso la fine
dell'Ottocento, in seguito alla interruzione del trattato commerciale con la Francia nel 1877.
Considerando il periodo dal 1876 al 1903 gli espatri sardi furono verso il bacino del Mediterraneo e
l'Europa (64,1% di cui il 33,1% verso la Francia),  mentre il rimanente era destinato verso le
americhe (di cui il 17% verso l'Argentina e l'11,4% verso gli Stati Uniti d'America).
Dai primi anni del Novecento il flusso divenne costante, dal 1901 al 1905 la destinazione
principale fu l'Africa. Dal 1906 al 1914 la media annuale crebbe in maniera considerevole e anche
le destinazioni cambiarono infatti l'America divenne la meta più ambita seguita dall'Europa, mentre
in Africa si indirizzò il flusso minore. Dopo l'intervallo della I guerra il flusso riprese e 14
nell'intervallo fra il 1919 ed il 1925 l'Europa assorbì la maggioranza degli emigranti. In totale
considerando l'intervallo dal 1876 al 1925 si contano 44.691 emigrati verso l'Europa, 44.095 verso
l'America e 34.083 verso l'Africa.
Negli anni del dopoguerra vi furono grandi migrazioni verso l'Australia, il Canada e gli Stati
Uniti (1950 < 1956).
Fra la fine degli anni '50 e i primi anni '60 molti lasciarono l'Isola verso i paesi europei di questi
la maggioranza si stabilirono in Germania e in Francia, un consistente numero si diresse verso le
miniere del Belgio, altri in Svizzera.
Ovviamente la corrente migratoria principale fu quella che si diresse verso le aree industriali del
Nord Italia, dove si stabilirono più di 200.000 Sardi.
Verso la fine degli anni '60 e negli anni '70 si verificò anche l'emigrazione di molti pastori
soprattutto delle zone interne che, non rinunciando alla loro antica tradizione pastorale, emigrarono
con le loro greggi, verso la Toscana, il Lazio e la Romagna, e all'interno della stessa Sardegna in
Logudoro e Campidano, rivitalizzando territori che versavano in stato d'abbandono.
In anni recenti, dal 1987 al 1999, secondo le statistiche, sono emigrati 15.647 isolani (82% in
Europa, 16% nelle Americhe), mentre ne sono rientrati 12.869, con una differenza di 2.598 unità.
La maggior parte degli emigrati degli ultimi anni proviene dalla provincia di Cagliari ed hanno
lasciato l'Isola diretti per il 70% verso i grandi  paesi europei (Francia, Inghilterra, Germania,
Svizzera), mentre il 30% verso altre nazioni come Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Argentina e
Venezuela. Fra questi un numero cospicuo è costituito da giovani laureati.
I Sardi che vivono al di fuori della Sardegna, secondo le ultime statistiche, sono circa 500.000.
Una caratteristica particolare del movimento migratorio sardo fu quello dell'emigrazione
femminile che in alcuni periodi (anni '60) era superiore come numero a quella maschile.
Trasporti e comunicazioni. In Sardegna si arriva sia in aereo che in nave, con o senza auto al
seguito: nei periodi estivi, l'afflusso di vacanzieri e il traffico da e per i principali punti di accesso
(porti e aeroporti) aumentano in modo considerevole.
Gli spostamenti nelle località interne richiedono tempo e spesso le strade sono tortuose (a parte
le principali direttrici), con tante curve e saliscendi a secondo l'orografia del territorio: andare piano
è d'obbligo.
Ecco come raggiungere i porti principali e come muoversi:
Navigazione. Per mare la Sardegna è collegata con i porti di Civitavecchia, Palermo, Trapani,
Genova, Livorno, Piombino, Napoli, Ajaccio, Bonifacio, Propriano, Tolone, e Marsiglia, in estate
anche con Fiumicino e Salerno.
In estate aumentano il numero delle corse ed entrano in funziona anche traghetti veloci che
compiono il tragitto in circa 4 ore e 30 minuti. I  porti di arrivo sono: Arbatax, Cagliari, Golfo
Aranci, Olbia, Palau, Porto Torres, Santa Teresa di Gallura. Il porto passeggeri di Olbia < Isola
Bianca negli ultimi 30 anni è cresciuto tanto da far diventare lo scalo gallurese il primo porto
passeggeri in Italia.
Le compagnie di navigazione per i servizi verso l'isola sono Tirrenia, Moby Lines, Corsica
ferries < sardinia ferries, Grandi Navi Veloci, Snav e le francesi Sncm e CMN
Trasporti aerei. La Sardegna ha ricorso da sempre al trasporto aereo per contrastare gli effetti
dell'insularità, fatto che l'ha portata a sviluppare una buona rete di servizi ed impianti ben distribuiti
sul territorio.
Specialmente negli ultimi anni, il traffico aeroportuale ha registrato forti incrementi sul numero
di voli e di passeggeri, confermando come la Sardegna sia un mercato fra i più attivi ed interessanti
del mercato italiano ed europeo.
Aeroporti di arrivo: Alghero
traffico e volume aereo, quelli di Oristano < Fenosu e Tortolì < Arbatax.
Le principali compagnie aeree che servono l'isola con il resto d'Italia e d'Europa sono:
Meridiana, Air One, Alpi Eagles, Air Dolomiti, Ryanair, easyJet e Air Berlin
Sull'isola ha sede la compagnia aerea Meridiana (ex Alisarda). 15
Trasporti su rotaia.  La rete ferroviaria, costruita sul finire del XIX secolo, è considerata
insieme alla costruzione della ferrovie del Regno di Sardegna in Piemonte, come una delle cause
principali del disboscamento dell'isola. Si sviluppa per 600 km e si limita a congiungere le città
principali e i porti.
Le Ferrovie dello Stato collegano Cagliari con Sassari (3 ore
[21]
) e Porto Torres, e con Olbia e
Golfo Aranci (4 ore e mezza
[21]
). Chilivani è lo snodo ferroviario da dove ripartono i due tronchi
verso Sassari e Porto Torres e verso Olbia e Golfo  Aranci. Un'altra linea collega Cagliari con
Iglesias (50 minuti
[21]
) e Carbonia (1 ora
[21]
). Le Ferrovie della Sardegna, che hanno in gestione la
rete secondaria dell'isola, collegano invece Cagliari con Isili, Macomer con Nuoro, e Sassari con
Nulvi, Sorso e Alghero.
L'intera rete ferroviaria non è elettrificata (gli  unici mezzi elettrici in circolazione sulle rotaie
dell'isola sono i tram della Metropolitana leggera  di Sassari e della Metropolitana leggera di
Cagliari), e presenta visibilmente decenni di mancati investimenti in innovazioni.
Gli ultimi ammodernamenti effettuati sul tracciato  FS, dal 2000 ad oggi, riguardano la
costruzione delle varianti di Chilivani, Campeda e  San Gavino Monreale per velocizzare le
relazioni, l'introduzione dei treni Minuetto, dotati di maggior comfort per i passeggeri e che hanno
diminuito i tempi di percorrenza rispetto alle precedenti automotrici, e la realizzazione del doppio
binario tra la nuova stazione di San Gavino Monreale e Decimomannu, dove la linea si ricollega a
quella a doppio binario esistente verso Cagliari.
Va inoltre segnalato il servizio turistico delle FdS: il Trenino Verde è un modo particolare per
visitare alcune zone interne dell'isola; i convogli infatti penetrano in aree assolutamente prive di
strade ed altrimenti irraggiungibili. È un viaggiare d'altri tempi, sia per la velocità sia per i percorsi
che attraversano zone impervie e incontaminate nell'interno dell'isola.
Alcuni trenini sono inoltre mossi da locomotive a vapore, veri pezzi di antiquariato,
perfettamente funzionanti: la più antica tra quelle attualmente in uso risale al 1914.
[22]
 Le linee del
Trenino Verde sono 4: Mandas < Arbatax; Isili < Sorgono; Sassari < Nulvi < Tempio Pausania < Palau
e Macomer < Bosa. La suggestività dei paesaggi e la possibilità di scoprire zone meno note della
Sardegna attirano ogni anno un discreto movimento di turismo ferroviario lungo queste linee. Un
analogo servizio è svolto anche dalle FS.
Trasporti su gomma. Sebbene la Sardegna sia l'unica regione italiana priva di autostrade, la rete
stradale è abbastanza sviluppata e si sta ampliando ulteriormente, completando la costruzione di una
rete di superstrade fra i principali centri dell'Isola, completamente pubbliche e gratuite. Da queste
importanti arterie si diramano poi strade secondarie verso tutte le località, ma alcune strade
periferiche ed interne restano tortuose e non consentono velocità elevate.
La superstrada SS 131 Carlo Felice attraversa l'Isola da nord a sud collegando Cagliari con
Sassari e Porto Torres, passando per Oristano e Macomer, mentre una sua deviazione, la SS 131
DCN < Diramazione Centrale Nuorese raggiunge Olbia  passando per Nuoro, Siniscola e San
Teodoro. Nella zona settentrionale dell'isola la superstrada SS 291 della Nurra e la strada statale
597 collegano Alghero, Sassari e Olbia.
Le dorsali Cagliari < Sassari < Porto Torres e Alghero < Olbia fanno parte dello SNIT < Sistema
Nazionale Integrato dei Trasporti.
[23]
L'Azienda Regionale Sarda Trasporti (ARST) collega  quasi tutti i centri della Sardegna con
almeno una corsa giornaliera, le restanti località, invece, sono servite da compagnie private.
Gli autobus sono presenti negli aeroporti e nei porti in coincidenza con l'arrivo dei traghetti.
Le strade, generalmente ricche di tornanti e panoramiche, sono molto frequentate dagli
appassionati delle due ruote, e la moto sembrerebbe il mezzo ideale per spostarsi nei mesi estivi;
difatti a causa delle distanze e della scarsa densità, un mezzo di trasporto privato resta spesso l'unica
scelta praticabile per visitare molte zone dell'Isola.
Sono presenti sistemi di trasporto pubblico urbano  ad Alghero, Cagliari e area metropolitana,
Macomer, Nuoro, Olbia, Oristano, Porto Torres e Sassari. 16
Sport. Lo Stadio Sant'Elia di Cagliari, in cui gioca il Cagliari Calcio.
Lo sport in Sardegna si è sviluppato ad un certo livello solo dal secondo dopoguerra in poi. La
Sardegna è rappresentata con una o più squadre nelle massime serie, A o B, nel baseball, nel calcio
(maschile, femminile e calcio a 5), nel football americano, nell'hockey in
maschile, nella pallacanestro (maschile, femminile  e in carrozzina), nella pallamano femminile,
nella pallanuoto (maschile e femminile), nella pallavolo (maschile e femminile), nel rugby, nel
softball (maschile e femminile) e nel tennis (maschile e femminile).
Fra i principali impianti sportivi si citano i seguenti: Stadio Sant'Elia, a Cagliari; < Stadio Vanni
Sanna, a Sassari; < Stadio Bruno Nespoli, ad Olbia; < Stadio Mariotti, ad Alghero.
Uno sport tradizionale sardo è "Sa strumpa", o lotta sarda, disciplina sportiva riconosciuta dal
CONI e dalla Federazione Internazionale Lotte Celtiche (FILC).
Amministrazione. La Sardegna è una delle cinque regioni autonome a statuto speciale d'Italia ed
è l'unica regione d'Italia (a parte la Valle d'Aosta nel vecchio statuto speciale) ai cui abitanti il
Legislatore costituente del 1948 riconobbe ufficialmente la dicitura di «Popolo Sardo». Lo Statuto è
stato approvato con Legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3, recante "Approvazione dello
Statuto speciale per la Sardegna", variamente modificato nel corso dei decenni, da ultimo con la
Legge costituzionale n. 2 del 31 gennaio 2001, e legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, che
hanno introdotto la prima l'elezione diretta del Presidente della Regione, nonché la seconda forme
più ampie di autonomia. Sono organi della Regione:  il Presidente della Regione < la Giunta
regionale < il Consiglio regionale.
Il Presidente.  Il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, con l'elezione diretta
prevista dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, ha il ruolo di garante dell’autonomia regionale e di
rappresentante della Regione Sardegna in tutti gli  ambiti, compreso quello dei rapporti
internazionali. Ha la responsabilità di formare la Giunta regionale e dirigerne l'operato: nomina e
revoca i componenti della Giunta, gli assessori; convoca, presiede e fissa l'ordine del giorno delle
riunioni della Giunta; vigila sull’attuazione delle deliberazioni della Giunta; assicura l'indirizzo
politico amministrativo dell’esecutivo.
Egli assomma in se i poteri tipici negli ordinamenti presidenziali. Infatti, indice le elezioni del
Consiglio regionale, del Presidente della Regione e i referendum regionali. Convoca la prima seduta
del Consiglio regionale e può richiederne la convocazione in via straordinaria. Cura i rapporti con
l'Assemblea legislativa e promulga le leggi regionali e i regolamenti. In qualità di presidente è
componente della Conferenza Stato
convoca e presiede la Conferenza permanente Regione
sottoscrive accordi internazionali e trasfrontalieri, con altri Stati e le intese con enti territoriali
interni ad altri stati; fa parte della delegazione italiana chiamata a definire la posizione dell'Unione
europea rispetto alle posizioni dell'Isola.
La Giunta regionale. La Giunta regionale è l'organo di governo della Regione. Essa è formata
dal Presidente e da dodici Assessori, nominati dal  Presidente. Dal 2004, cioè da quando il
Presidente della Regione è stato eletto direttamente dai cittadini, sulla base della legge
costituzionale n. 2/2001, e non dal Consiglio regionale, Presidente e Giunta non devono più ottenere
il voto di fiducia dell'Assemblea per esercitare le proprie funzioni.
Il Consiglio regionale.  Il Consiglio regionale è l'organo legislativo della Regione Sardegna.
Esso è i sostanza il Parlamento regionale: approva le leggi regionali e ha la facoltà di modificare lo
Statuto della Regione.
È eletto ogni 5 anni, ed è costituito da 85 consiglieri, che rappresentano, in maniera
proporzionale alla popolazione, le 8 circoscrizioni provinciali in cui è ripartita la Sardegna. Oltre
alla funzione più propriamente legislativa, il Consiglio ha il compito di indirizzare e controllare
l'attività esecutiva della Giunta.
Le otto province sarde. Attuale suddivisione: Comuni della provincia di Cagliari (71) < Comuni
della provincia di Carbonia < Iglesias (23) < Comuni della provincia del Medio Campidano (28) <
Comuni della provincia di Nuoro (52) < Comuni della provincia dell'Ogliastra (23) < Comuni della 17
provincia di Olbia < Tempio (26) < Comuni della provincia di Oristano (88) < Comuni della
provincia di Sassari (66) <
Sub regioni storiche.  La Sardegna è divisa storicamente in sub
direttamente, nella denominazione e nell'estensione, dai distretti amministrativi – giudiziari –
elettorali dei regni giudicali, le curatorie (in sardo curadorias o partes) che ricalcavano la
suddivisione territoriale ben più antica operata delle diverse tribù nuragiche.
Alcune denominazioni non sono più in uso, mentre altre hanno resistito fino ad oggi e sono
ancora correntemente utilizzate dai sardi. Eccone alcune delle più conosciute: Anglona, Barbagia,
Barigadu, Baronie, Campidano, Logudoro,Gallura, Goceano, Mandrolisai, Marghine, Marmilla,
Meilogu, Monteacuto, Montiferru, Nurra, Ogliastra,  Planargia, Quirra, Romangia, Sarcidano,
Sarrabus, Sulcis, Trexenta.
Simboli della Regione. Il DPR del 5 luglio 1952 concede alla Regione autonoma la possibilità
di fregiarsi di uno stemma e di un gonfalone.
La legge regionale 15 aprile 1999, n. 10 stabilisce all'art. 1: "La Regione adotta quale sua
bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto
una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura."
Attualmente è in corso un riordino dell'identità visiva della Regione. Con delibera del 25 gennaio
2005 la Giunta sarda ha autorizzato un disegno di legge regionale "per l'adozione del simbolo della
bandiera della Regione Autonoma della Sardegna [...] anche quale Stemma e Sigillo della Regione
medesima".
Partiti politici. Causa e testimonianza della forte identità sarda, per alcuni autonoma e diversa
da quella italiana, sono presenti diversi gruppi politici indipendentisti, fra cui si citano
Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna, Sardigna Natzione e A Manca pro s'Indipendentzia, oltre ai
principali due partiti autonomisti, Riformatori Sardi e Partito Sardo d'Azione. A questi si
aggiungono le sezioni locali dei partiti nazionali  italiani che godono di uno status particolare
considerando fra i propri valori l'autonomismo e il federalismo.
Personaggi famosi. Papa Ilario < Papa Simmaco < Domenico Alberto Azuni < Giovanni Maria
Angioy < Eleonora d'Arborea < Enrico Berlinguer < Maria Carta < Francesco Cossiga < Grazia
Deledda < Antonio Gramsci < Emilio Lussu < Giuseppe Manno < Costantino Nivola < Antonio
Pigliaru < Antonio Segni < Salvatore Satta < Giovanni Spano < Pasquale Tola < Francesco Ciusa <
Pinuccio Sciola.
Curiosità.  La Sardegna è la prima regione italiana ad avere la copertura televisiva con la
tecnologia del digitale terrestre. Lo Switch
Al di là delle diverse teorie che fanno ascendere l’origine della Sardegna al continuo e lento
movimento della crosta terrestre che ha separato questo lembo di terra dal tavolato africano, o che
essa sia l’unica testimonianza rimasta della mitica Tirrenide, sia ancora che abbia avuto origine dal
sollevamento di un enorme basamento granitico, è certo che la Sardegna è una terra antichissima,
assai più antica del resto d’Italia. A detta degli  studiosi la prima porzione che emerse, quella
corrispondente all’attuale territorio del Sulcis, risale a circa 400 milioni di anni fa. Con un lavorio di
migliaia di anni la natura completò e saldò le sue forme dandole il caratteristico disegno a forma di
sandalo e collocandola al centro del Mediterraneo.
Le prime tracce, perlomeno quelle rinvenute finora, di presenza umana nell’Isola datano a circa
150.000 anni fa, nel paleolitico inferiore. La certezza di una abitazione stabile del territorio ci
portano invece al neolitico antico, tra i 6.000 e i 4.000 anni prima della nascita di Cristo. Gli uomini
si sono adattati da allora all’asprezza del territorio concentrandosi in piccole comunità assai distanti
tra loro e dando vita ai più importanti insediamenti nei punti più vicini alle fonti di
approvvigionamento alimentare o al centro di importanti crocevia commerciali, consapevoli
dell’importanza della posizione strategica della Sardegna.
L’impressione che gli studiosi hanno ricavato delle abitudini di vita dei sardi è quella che, alle
origini, abbiano impostato la loro economia prima sulla caccia e in seguito sulla pastorizia,
l’agricoltura e la piccola pesca. 18
A parte la caccia le altre tre attività, con tutte  le operazioni connesse alla lavorazione e alla
trasformazione dei prodotti, cui si aggiunse assai presto il commercio, costituiscono da quei giorni
lontani le principali fonti di sviluppo dell’economia sarda.
Alla fine del secondo conflitto mondiale si sono aggiunte, con alterne fortune, alcune attività
industriali. In quest’ultimo decennio si sta, infine, radicando nella convinzione dei sardi il fatto che
il turismo possa diventare l’elemento determinante  per la rinascita economica. Una rinascita che
possa finalmente arrestare il progressivo impoverimento e spopolamento della Sardegna.
L’epoca Prenuragica.  Seguendo le notizie finora conosciute dell’uomo sardo esaminiamo
brevemente questo periodo che fu, invece assai lungo, circa 3.500 anni. Da 6.000 a 2.500 anni
prima di Cristo. Presumibilmente, ma tanto vi è ancora da scoprire e studiare, l’uomo arrivò dal
mare e da diverse direzioni.
Dalla Spagna e approdò nei pressi degli stagni di Cabras e Santa Giusta; dall’Africa e dal Medio
Oriente approdando nel golfo di Cagliari; dalla penisola italiana, forse Etruschi, approdando in
Gallura.
In una grotta dell’isolotto di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena sono stati rinvenuti
oggetti d’uso comune e avanzi di pasti. La continuità della presenza è confermata dal ritrovamento
di ciotole e scodelline in ceramica rozza realizzate con terre della zona. Nello stesso periodo veniva
utilizzata l’ossidiana del Monte Arci. Questo materiale vetroso di origine vulcanica veniva lavorato
con perizia dai neolitici per ottenere arnesi per perforare e per raschiare, coltelli e punte per armi da
caccia. Altri insediamenti umani sono stati riscontrati nelle grotte in diverse parti dell’Isola. L’uomo
era ancora un cavernicolo, sfruttava grotte naturali o ampliava anfratti in rilievi calcarei. Ancora
non aveva conoscenze o ingegno per costruirsi abitazioni autonome.
Nel Neolitico Medio, invece, pur continuando ad abitare nelle grotte, l’uomo sardo lascia tracce
che denotano un continuo evolversi delle sue capacità e del suo desiderio di conoscere. Le ciotole e
i vasi in ceramica sono più evoluti, lavorati e decorati con gusto; comincia a produrre, sempre con
la ceramica, figure umane; gli utensili di ossidiana o d’osso sono sempre più rifiniti. I reperti
risalenti a tale epoca dimostrano, poi, una presenza ormai diffusa e radicata su tutto il territorio
isolano.
Nel Neolitico recente, l’uomo sardo ha completato la sua rivoluzione culturale. Le grotte non
sono più l’unico tipo di dimora. Sono presenti molti villaggi di capanne fatte con frasche cui si
aggiungevano in certi casi supporti e sostegni ottenuti con le pietre. La pratica della caccia e della
pesca hanno ormai una tecnica specializzata.
L’uomo sardo procedeva alla sepoltura dei morti, solitamente singola, con l’inumazione nelle
domus de janas e nei dolmen. Scopre e comprende l’importanza dei metalli il cui utilizzo segna
idealmente la linea di demarcazione con l’età nuragica.
L’età Nuragica. E' questa un'epoca che segna la Sardegna fino ai giorni nostri. Le vestigia di
quel periodo hanno attraversato quattromila anni ed hanno portato intatto il loro bagaglio di mistero
e di storia. I sardi utilizzarono i nuraghe come dimore, fortezze e avamposti presumibilmente per
circa duemila anni, praticamente fino agli albori della cristianità.
I nuraghe sono stati per molti secoli l'unico elemento visibile di quella che fu una civiltà
laboriosa di una popolazione, tutto sommato, abbastanza numerosa che abitò tutto il territorio
isolano. Quando, però, gli storici si dedicarono nei secoli scorsi allo studio della Sardegna nuragica
lo fecero in maniera empirica, quasi favoleggiante, adattando i risultati dei loro studi a situazioni
storiche o a correnti di pensiero della loro epoca.
Nel 1800 una analisi più approfondita e con più precisi elementi di fondatezza fu svolta da
Alberto La Marmora prima e dal canonico Giovanni Spano.
Infine, nei primi decenni del 1900, un notevole impulso agli studi e alle campagne di scavo fu
dato da Antonio Taramelli.
Dal 1950 circa, il Professor Giovanni Lilliu affrontò l'esame dell'epoca nuragica e dei nuraghe
con criterio metodico e rigorosamente scientifico.  Nuove, numerose campagne di scavi, oltre
portare alla luce mura e reperti, hanno consentito a lui, ai suoi allievi e ad altri studiosi di scrivere 19
una pagina quasi completa della storia della nostra Isola. Ma tanto resta ancora da scoprire e
conoscere.
L'importanza e il valore degli studi del Professor  Lilliu gli hanno meritato la nomina ad
Accademico dei Lincei mentre il nuraghe simbolo dei suoi studi, la Reggia Nuragica di Barumini, è
diventato monumento dell'UNESCO. I nuraghe attualmente visibili sono circa settemila e sarebbe
quasi impossibile, in questo sito, ripercorrere tutti gli itinerari che portano ad un nuraghe.
La Sardegna da nord a sud, da est a ovest, è segnata da queste memorie della sua storia.
"Per offrire un contributo a chi ci legge ci limitiamo ad esporre qui di seguito lo stralcio di uno
studio dell'archeologo Giorgio Murru che, esaminando un piccolissimo lembo del territorio isolano,
dal nuraghe di Barumini fino al nuraghe Arrubiu di Orroli passando per il villaggio nuragico di
Serri, riesce a dare l'immagine del fabbricato nuragico, con i relativi riflessi ambientali e sociali, in
maniera nitida e semplice." Uno spaccato, che oggi  come tremila anni fa, potrebbe riferirsi a
qualsiasi regione della Sardegna.
"La Civiltà Nuragica ha, principalmente, nei nuraghi l'espressione culturale più evidente e
significativa. I nuraghi sono delle costruzioni a torre con impianto planimetrico circolare, costruite
sovrapponendo grossi blocchi di pietra a secco, senza ausilio di malta legante, che contengono
all'interno splendidi ambienti cupoliformi, "tholoi", talvolta più di uno, su due o più livelli
comunicanti tra loro attraverso scale ricavate nelle possenti murature. L'inclinazione delle pareti
esterne conferisce la caratteristica forma troncoconica, massiccia, elegante, che contraddistingue in
maniera inequivocabile questo singolare monumento.  I nuraghi sono presenti su tutto il territorio
sardo: lungo la costa, in pianura, prevalentemente  in collina e sugli altopiani, ma anche in
emergenze rocciose morfologicamente inospitali e oltre 1.000 m. di quota sul massiccio del
Gennargentu.
Di nuraghe se ne contano, attualmente 7.000, ma il numero è certamente in difetto se si pensa
agli interventi di bonifica agraria continuati nel tempo, alla realizzazione di strade e acquedotti, allo
sviluppo dei nostri centri urbani, che hanno irrimediabilmente cancellato un gran numero di questi
segni preziosi di un passato straordinario. Se nella maggior parte dei casi i nuraghi si presentano in
forme semplici, altre volte evidenziano un elevato grado di complessità architettonica come nei tipi
plurimi, a più torri. Due, tre, quattro, talvolta cinque torri unite da cortine murarie, disposte secondo
una precisa volontà edificativa, con schemi e modelli, però, non sempre canonizzati. Questa
tipologia raggiunge la massima espressione nel territorio oggetto di questa analisi. Un'area
geografica idealmente delimitata dai nuraghe "Is Paras" di Isili, "Arrubiu" di Orroli, "Su Nuraxi" di
Barumini, un territorio esteso, dove si incontrano due regioni distinte: la Marmilla e il Sarcidano.
Terre di grano la prima e di millenarie tradizioni agrarie; di grano e di allevatori il Sarcidano.
Terre ricche, comunque, già in età nuragica, in grado di produrre abbondanti derrate alimentari
necessarie per consentire ai Principi nuragici la costruzione di tre tra i maggiori esempi di nuraghe
finora conosciuti e di altri, nell'immediato intorno, numerosi e ben dimensionati. "Is Paras" si erge
appena a settentrione dell'abitato di Isili, a dominio delle sottostanti regioni aperte a Occidente. Si
tratta di un nuraghe trilobato, ossia dotato di un bastione con tre torri disposte ai vertici, angoli di un
triangolo.
Il bastione si appoggia strutturalmente ad una torre più antica che risulta epicentrica rispetto al
corpo trilobato aggiunto, ben più evidente per dimensioni ed altezza. Il materiale da costruzione è il
calcare bianco, in blocchi piuttosto regolari. Al suo interno, è possibile accedere alle tholos della
torre principale, la più grande e la più elegante tholos nuragica, alta ben 11 metri su un diametro,
alla base, di 7 metri. Il nuraghe " Arrubiu " di Orroli, è posto al limite orientale dell'altopiano
basaltico di "Pran'e muru", un rilievo in grado di spaziare visivamente a 360° e, pertanto, fortificato
con numerosissimi nuraghi. É di tipo complesso, pentalobato, ossia con cinque torri unite da cortine
murarie rettilinee poste a racchiudere una torre più antica. Il bastione contiene al proprio interno un
cortile nel quale è ricavata una cisterna, riserva idrica indispensabile per l'approvvigionamento della
guarnigione. All'esterno di questo edificio, corre  un possente ante
torri raccordate da muri ciclopici. Alcuni saggi di scavo, eseguiti oltre l'antemurale, hanno 20
evidenziato i resti di un villaggio di capanne e tracce consistenti di una frequentazione del sito in età
romana. Il complesso nuragico "Su Nuraxi" sorge alla periferia occidentale di Barumini. Il sito
venne riportato alla luce dopo una serie di campagne di scavo protrattesi durante il primo
quinquennio degli anni Cinquanta. É costituito da un possente bastione quadrilobato, con le quattro
torri disposte verso i punti cardinali, attorno ad un mastio originario. Il bastione è, a sua volta, cinto
da un antemurale con sette torri. All'esterno si estende un villaggio di capanne riferibili all'Età del
Ferro (IX < VI secolo a.C.). Cospicue le testimonianze di età Punica e Romana che attestano una
frequentazione del sito anche in età storica. Ma, questo territorio non ha espresso solo nuraghi.
Infatti, proprio al centro di quest'ipotetico triangolo sorge il più importante santuario di età
nuragica finora messo in luce, conosciuto con il toponimo di Santa Vittoria, in agro di Serri, nome
originato dalla presenza, nelle vicinanze, di un tempio cristiano di tradizione bizantina. L'area
archeologica, parzialmente indagata nei primi decenni di questo secolo, è costituita da un'area sacra
nella quale sono stati individuati un tempio "a pozzo" e un secondo luogo di culto a pianta
rettangolare. Adiacente a questi spazi si sviluppa il cosiddetto "recinto delle feste", una grande cava
circolare sulla quale si aprono alcune capanne e una teoria di loggette, interpretabili quali ambienti
funzionali al mercato. Nuove indagini potranno definire con maggior precisione e dovizia di dettagli
il significato di questo luogo dal fascino incredibile, apportando nuovi contributi alla storia di
queste terre. (archeologo Giorgio Murru)".
Tra l'età' nuragica e il I millennio dopo Cristo. Le popolazioni della Sardegna ebbero pochi
nemici esterni all’Isola, perlomeno fino a circa il 500 avanti Cristo. Fino a quel periodo le lotte
furono esclusivamente tra gli stessi sardi nuragici per questioni di territorio, di bestiame,
supremazia di un gruppo sull'altro ecc.. Le presenze straniere erano limitate a piccoli gruppi di
navigatori provenienti dalla Fenicia, dediti ai commerci e che si insediarono nelle zone meridionali
costiere.
Fu una pacifica convivenza fatta di scambi di merci. I fenici, abili navigatori, coprivano le rotte
che dall’Africa portavano alla Spagna e alla Francia e scambiavano le merci che trasportavano con
prodotti delle miniere sarde o capi di allevamento o prodotti dei campi.
Tale pacifica coesistenza si protrasse fino al 500 a.C. quando i cartaginesi affermarono la loro
supremazia sul Mediterraneo e invasero la Sardegna  sottomettendo dopo dure battaglie le
popolazioni nelle zone costiere, mentre buona parte dei sardi ripararono nelle aree più interne dove
continuarono la loro lotta ogni volta che i punici  provavano ad occupare anche quelle terre.
Nelle zone che occuparono i cartaginesi portarono la loro religione assai crudele che voleva il
sacrificio alle divinità dei primogeniti delle famiglie nobili. Di positivo i cartaginesi introdussero in
Sardegna la coltivazione del grano, migliorarono i sistemi di pesca e fecero conoscere l’estrazione
del sale marino.
I romani giunsero in Sardegna nel corso delle guerre contro Cartagine e, quando questa fu
definitivamente sconfitta, la Sardegna divenne elemento strategico della dominazione romana sul
Mediterraneo.
I romani sottomisero tutta l’Isola. Abili costruttori di vie di comunicazione, raggiunsero tutte le
zone interne dove da tempo abitavano quelle popolazioni che i punici non erano riusciti a
sottomettere. Dopo aspre battaglie anche quei territori furono sottomessi, ma mai completamente. I
romani, infatti, preferirono allentare la morsa su  queste popolazioni e dedicarsi ad un miglior
controllo delle aree costiere e delle zone produttive, come le miniere e la piana del Campidano
granaio di Roma. Quando nei domini romani cominciò a diffondersi il cristianesimo, la Sardegna
divenne terra di esilio per quanti riuscirono ad evitare la morte. I cristiani esiliati erano solitamente
condannati a lavorare nelle miniere e la loro presenza e le loro testimonianze radicarono
velocemente il cristianesimo nella nostra Isola.
Il medioevo e il passaggio al II millennio. Con la decadenza dell’Impero romano, verso il 500
d. C., la Sardegna conobbe nuovi occupanti.
Per primi i Vandali africani che imposero il loro dominio sulle città costiere.
Furono sostituiti assai presto dai Bizantini che imposero all’Isola una asfissiante burocrazia, tesa ad 21
imporre tasse e balzelli. La Sardegna fu governata da un inviato di Bisanzio, lo judex, e controllata
da un esercito agli ordini di un dux. In quest’epoca il cristianesimo si diffuse in tutta l’Isola.
Quando gli Arabi, verso l’800 dopo Cristo, divennero i padroni del Mediterraneo, la Sardegna si
trovò di colpo isolata e dovette pensare ad autodifendersi dalle loro scorrerie piratesche. Lo judex
divise il territorio in quattro province affidandole a suoi luogotenenti che, però, si resero
indipendenti e divennero judices (o re) dei territori loro affidati, chiamati Giudicati; quello di
Cagliari, quello di Torres, quello di Gallura e quello di Arborea.
Ebbe inizio un periodo assai importante, di autonomia e anche di democrazia.
Il Giudice era la guida e il condottiero, ma le decisioni più importanti erano affidate alla corona de
logu, il parlamento del Giudicato. Ciascuno dei Giudicati aveva le sue leggi, le cartas de logu.
Quest’epoca durò, più o meno, 500 anni durante i quali pur sotto una certa influenza esercitata dalle
repubbliche marinare di Pisa e Genova, la Sardegna  autodeterminava la propria economia e la
propria cultura.
Ma la posizione dell’Isola era troppo importante e l’influenza di Pisa e Genova, in guerra tra loro
per il predominio sui mari, divenne, alla fine, una occupazione armata.
Alla fine di brevi e confuse vicende politiche la Sardegna, verso il 1300, fu attribuita dal Papa
Bonifacio VIII alla corona d’Aragona.
Gli Aragonesi, dopo brevi campagne militari contro  i Pisani, sottomisero i Giudicati sardi ad
eccezione di quello d’Arborea.
Il Giudicato d’Arborea tentò anche l’unificazione di tutta l’Isola e quasi vi riuscì quando, dopo
quarant’anni di battaglie, la Sardegna escluse le città di Cagliari e Alghero, fu sotto il suo dominio.
Il sogno si interruppe a Sanluri dove Martino il Giovane re di Aragona, sconfisse i Sardi e conquistò
definitivamente tutta la Sardegna. Alla sua morte non lasciò eredi e, attraverso alcuni passaggi
dinastici, la Sardegna passò sotto la Corona di Spagna. La dominazione spagnola durò circa 400
anni, influenzando fortemente la lingua, la cultura e i costumi delle popolazioni della Sardegna.
A seguito di un trattato, quello di Londra del 1718, il regno di Sardegna fu ceduto ai Savoia che,
attraverso un processo di integrazione, fecero del  Piemonte e della Sardegna un unico regno, il
regno di Sardegna. Al termine delle guerre di Indipendenza, cominciate il 1848, il regno di
Sardegna si trasformò in regno di Italia, era il 1861.
L'età moderna. Da quel periodo ai giorni nostri, non si può affermare che la Sardegna abbia
conosciuto momenti di grande prosperità.
Dal punto di vista politico si è arrivati con grande lentezza e fatica ad una sorta di autonomia mai
utilizzata appieno. Neanche i sardi che nel tempo hanno guidato la politica italiana, o hanno avuto
in essa posizioni di rilievo, sono riusciti a garantire alla Sardegna la certezza dell’applicazione di
norme pur garantite dalla Costituzione.
La scarsa incisività politica ha sempre avuto riflessi diretti sulla politica economica. La Sardegna
ha conosciuto, e conosce tuttora, movimenti di emigrazione e di spopolamento piuttosto consistenti.
L’economia industriale è stata quasi fallimentare.
L’agricoltura, l’agroalimentare e l’allevamento, potenzialmente garantiscono una buona
redditività ma necessitano di strategie più incisive per non restare isolati in un mercato quasi di
"nicchia".
Solo in questi ultimi anni il turismo lascia intravedere le sue enormi potenzialità. Ben poco per
un’Isola da sempre troppo isolata. Perla del Mediterraneo, ma nascosta. Bisogna sperare che i timidi
segnali di affrancamento dai poteri forti come: l’istituzione della zona franca, il decollo del porto
container a Cagliari, la deregulation nei trasporti aerei e marittimi, il federalismo economico e
fiscale, il federalismo politico, riescano ad invertire la pericolosissima tendenza che spinge la
Sardegna verso nuove colonizzazioni. 22
Torniamo alle generalità
Situata strategicamente al centro del mar Mediterraneo occidentale, la Sardegna fu sin dagli
albori della civiltà umana un attracco obbligato per quanti navigavano da una sponda all'altra del
mare nostrum in cerca di materie prime e di nuovi sbocchi commerciali.
Fu così che nella sua storia millenaria ha saputo trarre vantaggio sia dal proprio isolamento, che
ha consentito lo svilupparsi della civiltà nuragica, sia dalla propria posizione strategica, ostacolo
inaggirabile nella rete degli antichi percorsi.
Il risultato è che nel suo antico bagaglio storico  si trovano segni di solide culture indigene
sviluppatesi praticamente immutate nel corso dei secoli, così come i segni delle maggiori potenze
coloniali antiche.
Sono ricche le testimonianze di queste presenze disseminate dappertutto lungo l'intera isola,
dando luogo ad una storia della Sardegna molto complessa ed articolata.
Preistoria.  Le prime tracce di presenza umana in Sardegna, risalenti al Paleolitico inferiore,
consistono in rudimentali selci, ritrovate nel sassarese, scheggiate in un periodo compreso tra i
500.000 e i 100.000 anni fa da Homo erectus per costruire utensili. Per trovare Homo sapiens
sapiens bisogna risalire a 14000 anni a.C.: gli scavi della grotta di Corbeddu, a Oliena, oltre a delle
pietre sbozzate, hanno restituito anche fossili umani. Le testimonianze dell'uomo Neolitico (6000 <
2700 a.C.) sono numerose: i neolitici più antichi incidevano le loro ceramiche con il bordo di una
conchiglia, il cardium edule, e la civiltà cardiale si sviluppò fino a 4500 a.C.
La successiva civiltà di  Bonu5Ighinu durò fino al 3500 a.C. circa, mentre l'ultimo periodo è
caratterizzato dalla civiltà di  San Michele che giunse fino al 2700 a.C. I neolitici sardi vivevano
all'aperto e in grotte, allevavano bestiame, utilizzavano strumenti in selce ed in ossidiana,
coltivavano cereali, cacciavano e pescavano. Conoscevano la tessitura, scolpivano statuine stilizzate
raffiguranti la Dea Madre accentuando le forme del  seno e del bacino, costruivano ciotole e vasi
decorati in vario modo.
Si svilupparono in quel periodo due forme di architettura funeraria: da una parte strutture
megalitiche come dolmen e menhir (pedras fittas), dall'altro le domus de janas (casa delle fate o
delle streghe)
[1]
, tombe scavate nella roccia che riproducevano l'intera struttura abitativa e nelle
quali venivano seppelliti i morti, colorando con  ocra rossa il pavimento, le pareti della tomba e
anche il corpo del defunto. Nella fase finale del periodo neolitico (fino al 1600 a.C.) si succedono
altre due civiltà ceramiche (di Monte Claro e di Bonnanaro), e inizia la lavorazione dei metalli:
prima il rame, poi il bronzo.
Civiltà nuragica.  Barumini < Su Nuraxi < la  reggia nuragica. Il sito è stato classificato
dall'Unesco patrimonio mondiale dell'umanità. Secondo alcuni studiosi, durante la civiltà nuragica,
l'isola era molto popolata: si suppone che su una media di 5000 nuraghi semplici, di 3000 fra
nuraghi complessi e villaggi, con una media di 10 abitanti per ogni torre isolata e di 100 abitanti per
ogni borgo, si poteva contare una popolazione di circa 350.000 unità (la Sardegna raggiungerà
nuovamente una simile densità abitativa solo nel Quattrocento).
Più di 7000 nuraghi (8000/12000 secondo altre fonti), uno ogni 4 km², e centinaia di villaggi e
tombe megalitiche sono la testimonianza di una delle civiltà mediterranee più misteriose, al punto
che anche le interpretazioni più avanzate sulla funzione delle torri nuragiche e sulla vita e struttura
sociale di questo popolo mancano di riscontri archeologici certi. Ma allora, i nuragici, i costruttori
di torri, i Tirsenoy come li chiamavano i Greci di allora (al pari degli Etruschi)
[2]
, chi erano? Dalle
testimonianze delle genti antiche con cui interagivano, sicuramente furono un popolo di guerrieri e
di naviganti, di pastori e di contadini, suddiviso in piccoli nuclei tribali (clan). Andavano per mare,
commerciavano con Micene, con i Fenici, con gli Etruschi. Furono gli unici abitatori della Sardegna
per circa 1000 anni (dal 1500 al 500 a.C.), su un territorio allora ricchissimo di boschi, di acque, di
fertili valli. Il nuraghe era il centro della vita sociale delle tribù, ma oltre alle torri, altre strutture
megalitiche caratterizzavano la civiltà nuragica: le tombe dei giganti (luoghi di sepoltura) e i pozzi
sacri (luoghi di culto). Le enormi steli centrali delle  tombe dei giganti (molte superano i 4 m di
altezza) e la straordinaria precisione costruttiva  dei  pozzi sacri
[3]
 dimostrano la complessità e la 23
raffinatezza raggiunta da questa civiltà. Anche la produzione di bronzetti, tipica espressione della
civiltà nuragica, con raffigurazioni a volte realistiche, a volte immaginarie, aggiunge fascino al
mistero dei nuragici, mistero destinato sicuramente a durare ancora per la mancanza (ma se questa
sia una verità è in corso una serrata discussione in questi ultimi anni, dato il certo rinvenimento di
non pochi documenti arcaici scritti), di un elemento fondamentale per decifrare le civiltà antiche: la
scrittura. Infine furono sconfitti da Cartagine e da Roma. A quel punto la Sardegna si è divisa. Nelle
valli e sulla costa ha trionfato la civiltà dei vincitori; in montagna e nelle zone impervie, mai
romanizzate (la  Barbagia), la cultura nuragica ha resistito tramandandosi nei secoli: per la sua
originalità e per i suoi misteri è quella che più di ogni altra simboleggia la Sardegna.
Le nuove ipotesi.  I bronzetti testimoniano l'alta capacità raggiunta  dai nuragici nell'arte di
lavorare i metalli
La civiltà nuragica abbraccia un periodo di tempo che va dalla prima età del Bronzo (dal 1700
a.C.) al II secolo d.C., ormai in piena epoca romana, e fu il frutto dell'evoluzione di una preesistente
cultura megalitica, costruttrice di dolmens, secondo alcuni di influsso miceneo. Per molto tempo ha
convissuto con altre culture estranee all'isola, come quella fenicia, quella punica e quella romana.
Le torri nuragiche sono i monumenti più rappresentativi di questa civiltà e sulla loro effettiva
funzione si discute da almeno cinque secoli: c'è chi li ha visti come tombe monumentali e chi come
case di giganti, chi fortezze, forni per la fusione di metalli, prigioni, e chi templi di culto del sole.
Per altri la funzione dei nuraghi era principalmente quella di torri comunicanti tramite tecniche
basate sul suono o sulla rifrazione della luce.
Un contributo allo studio della civiltà degli antichi sardi, sebbene molto discusso, è di recente
giunto da una teoria del giornalista Sergio Frau che vedrebbe nella civiltà nuragica l'origine storica
del mito di Atlantide. Il centro della presunta civiltà atlantidea è ipotizzato nel nuraghe
Barumini, le cui rovine sono le più imponenti dell'Isola. Alcuni studi recenti hanno evidenziato
come un probabile cataclisma naturale < forse uno Tsunami nel Mediterraneo < (così come anche
prospettato dagli studiosi del C.N.R. di Roma, in particolare dal geologo Mario Tozzi), abbia
disperso nel nulla una fiorente ed avanzata civiltà. Sempre secondo questa teoria, le Colonne
d'Ercole vengono posizionate nel canale di Sicilia e non nello stretto di Gibilterra. Gli studi del Frau
con riferimento all'isola di Atlantide sono gli unici ad essere stati sostenuti da eminenti ricercatori
dell'UNESCO.
Altre ipotesi, scarsamente sostenute dalla scienza  ufficiale, descrivono le strutture megalitiche
come osservatorî astronomici: le torri sarebbero state disposte secondo precise regole astronomiche
e utilizzate per la misura del tempo. Secondo altri, i nuraghi e le tombe dei giganti sono costruiti e
ubicati in base a regole che derivano dalla conoscenza del magnetismo e della rabdomanzia.
Un apporto notevole per la risoluzione del problema dell'origine (e della civiltà in genere) dei
costruttori dei nuraghi viene oggi fornito dalla cospicua documentazione scritta della seconda metà
del secondo Millennio a.C. (con alfabeti di tipologia  protosinaitica,  ugaritica,  gublitica,
protocananea e fenicia) rinvenuta o individuata, nel corso di più di un decennio (1995 < 2008), dallo
studioso Gigi Sanna. Questi, tra l'altro, sostiene, anche sulla base di documenti già pubblicati dagli
archeologi (sigillo di Sant'Imbenia,  brassard scritto di  Is Loccis Santus, ecc.) che i nuragici
Shardana parlavano una lingua indoeuropea simile al latino
[5]
 e non solo conoscevano ed usavano
molto bene i codici di scrittura semitici, ma che essi stessi fossero d'origine semitica (siro<
palestinese)
[senza fonte]
 . Il loro dio, sia per testimonianza documentaria  simbolica che alfabetica
(consonantica), era  yah o  yahh o  yahwhé. Una divinità  unica,gelosa e  nazionale, con delle
caratteristiche  israelitiche, che già il grande antropologo Raffaele Pettazzoni, ai primi del
Novecento, aveva intuito essere venerata da tutti i popoli preistorici della Sardegna. Nel 2008 in
agro di Paulilatino e di Abbasanta (Sardegna centrale) sono stati rinvenuti dei massi basaltici (uno
di questi un altare per i sacrifici) con scrittura  di tipologia  protosinaitica e  protocananea che
sembrano confermare definitivamente le iniziali ipotesi del professore oristanese e sulla scrittura e
sulla divinità ad essa organica . 24
Come i Celti nelle isole britanniche, anche i Sardi costruirono circoli megalitici (anelli di pietre
conficcati nel terreno) orientati verso i punti dell'orizzonte in cui sorgevano il Sole, la Luna, Venere
e la Croce del Sud; alcuni sostengono che a quei tempi la Sardegna fosse stata la grande isola sacra
del Mediterraneo.
Fenici e cartaginesi. Quando arrivarono i naviganti Fenici, tra il X e l'VIII secolo a.C., in
Sardegna si contavano circa 8000 nuraghi, dalle semplici torri di avvistamento (avamposti ai confini
dei territori dei singoli clan) ai castelli veri e  propri, con annessi villaggi di capanne (come il
nuraghe Santu Antine di Torralba). I Fenici stabilirono colonie un po' ovunque nel Mediterraneo e
arrivarono non come invasori, ma per commerciare. Si stanziarono dapprima in insediamenti
temporanei che dovevano servire come magazzini di raccolta di materie prime e i Sardi delle zone
costiere pian piano fraternizzarono con loro.
Meno facile fu il rapporto tra i sardi e i cartaginesi, L'intervento di Cartagine fu dovuto alle
pulsioni espansionistiche della città, in piena espansione nel VI secolo a.C. Non è ancora ben chiaro
se l'intervento fu giustificato come aiuto alle città fenicie contro i sardi o come sovrapposizione
imperialistica ai precedenti insediamenti fenici. Un primo tentativo di conquista cartaginese fu
sventato intorno al 535 a.C. dalla vittoriosa resistenza sarda. Ma, dalla fine del secolo, l'Isola
sembra entrare nell'orbita dell'egemonia cartaginese
[6]
 Le città costiere diventeranno presto dei .
grandi centri urbani, tra i maggiori del Mediterraneo occidentale. Ancora oggi la loro presenza è
ben visibile, nonostante le successive sovrapposizioni romane. I centri maggiori furono  Karalis
(Cagliari, ove si trova la più grande area cimiteriale fenicio
Tuvixeddu, oggi purtroppo sottoposto a pressioni speculative); Nora, Solki (Sant'Antioco, col più
grande tophet scavato finora);  Tharros. Altri centri importanti furono:  Bithia;  Neapolis; Othoca
(Santa Giusta); Cornus; Bosa.
La Sardegna e Roma. Per i romani non fu affatto semplice l'occupazione dell'isola, decisiva fu
la battaglia che vide contrapposta Roma alla coalizione sardo
Iosto appoggiati da Annibale, il quale inviò in rinforzo suo fratello Asdrubale con un esercito di 10
000 uomini, con esito favorevole a Roma. Dopo la caduta della potenza fenicia e un periodo di
convivenza tra le due potenze di allora, Cartagine e Roma, e dopo due guerre puniche, i Romani si
impossessarono definitivamente dell'isola nel 214 a.C.
[7]
 Anche per loro, a un lungo periodo di .
difficile convivenza con i sardi e con i sardo5punici seguì una graduale integrazione (specie dal I
secolo d.C.), comunque questo periodo è caratterizzato da continue rivolte spesso soppresse con il
sangue, testimoniate dagli storici dell'epoca. Quelli che erano stati prosperi centri fenici e punici
(come  Karalis,  Sulci,  Nora,  Tharros,  Neapolis,  Bosa) continuarono la loro esistenza
romanizzandosi velocemente. Cagliari (Karalis) divenne la capitale della nuova provincia e nel
corso dei secoli fu arricchita da molti monumenti, tra i quali l'anfiteatro, utilizzato tutt'ora. Nel nord
venne fondata una colonia romana: Turris Libisonis (l'attuale Porto Torres).
Nella parte settentrionale, un centro importante fu Olbia che durante la permanenza romana fu
dotata di piazze e acquedotti ed anche fornita di due complessi termali. Un ritrovamento di
particolare importanza, avvenuto nella zona del porto vecchio nel 1999, è stato il recupero di 18
relitti di navi, di cui due dell'età di Nerone. Insieme a Turris Libisonis (Porto Torres) era il centro
più importante della Sardegna settentrionale.
Una lunga strada univa la parte nord al capoluogo (A Karalibus Turrem) attraversando la fertile
pianura campidanese. Nel mezzo del percorso si trovava  Forum Traiani (Fordongianus), altro
importante centro, abbellito nel I secolo d.C. da lussuose terme. La Sardegna divenne un importante
granaio di Roma, insieme alla Sicilia e all'Egitto, e prosperò per quattro secoli sotto la sua
egemonia, che la segnò indelebilmente, fino alla caduta dell'Impero. Della convivenza con Roma
rimane traccia indelebile nella lingua sarda, particolarmente vicina al latino volgare da cui emerse.
La Sardegna e l'impero bizantino.  Il culto di Santu Antine (San Costantino) fu introdotto dai
Bizantini.
Alla caduta dell'Impero romano, la Sardegna fu occupata dai Vandali, che mantennero sull'isola
un presidio militare per circa ottant'anni fino alla presa di potere dei Bizantini nel 534 d.C. Con loro 25
al potere, le strutture sociali e religiose subirono profonde trasformazioni: per opera di Gregorio
Magno si giunse alla conversione degli abitanti delle Barbagie al Cristianesimo.
Pian piano il bizantinismo esercitò il suo influsso nella cultura e nell'arte isolana, creando un
forte legame con Bisanzio che servì sicuramente ad  impedire l'occupazione longobarda. Ma fu
soprattutto in campo religioso che si sentì la sua  presenza, con la costruzione di chiese a  croce
greca, a  cupola emisferica < secondo il modello di Santa Sofia a Costantinopoli < e a  pianta
quadrata, e con l'introduzione nell'isola del rito bizantino insieme a tradizioni e consuetudini fino
ad allora sconosciute. Si affermò in quel periodo il culto dell'imperatore Costantino, in onore del
quale si tiene tuttora a Sedilo la cavalcata detta  s'Ardia che ricorda le corse dell'ippodromo di
Bisanzio.
La civiltà giudicale - Eleonora d'Arborea. Col declino dell'impero bizantino, a partire dall'VIII
secolo, i Sardi sull'impianto organizzativo bizantino, si dettero un nuovo assetto politico. L'isola fu
così divisa in 4 Giudicati, i quali erano indipendenti dall'esterno ma anche  fra di loro. I quattro
giudicati erano quelli di Torres < Logudoro, di Calari, di Gallura e di Arborea ed erano retti da un
"giudice" (judex in latino,  judike o  zuighe in sardo) con potere sovrano. Amministravano un
territorio, chiamato  logu, suddiviso in curatorie formate da più villaggi, retti da capi chiamati
majores. Parte dello sfruttamento del territorio, come anche l'agricoltura, veniva gestito in modo
collettivo, un'organizzazione modernissima per l'epoca.
L'aiuto portato alla Sardegna contro gli Arabi da parte delle flotte di Genova e Pisa, specie dopo
il fallito tentativo di conquista dell'isola nel 1015 < 1016 da parte di Mujāhid al<Āmirī di Denia (il
Mugetto o Musetto delle cronache cristiane italiche), signore delle Baleari dopo il crollo del
Califfato omayyade di al
Repubbliche marinare.
Barisone I re di Sardegna. Barisone I d'Arborea grande stratega sfruttò le dispute tra Genova e
Pisa e i nascenti interessi del Regno d'Aragona sulla Sardegna a favore della causa sarda e cercò di
unificare i Giudicati sardi sotto un'unica corona. Così con l'appoggio di Genova, chiese e ottenne il
titolo nominale di re di Sardegna dall'imperatore Federico I Barbarossa, pagando 4000 marchi
d'argento anticipati dai genovesi. Così il 10 agosto 1164 fu incoronato re di Sardegna, nella
cattedrale di San Siro a Pavia. I genovesi resisi conto che non poteva restituire subito l'ingente
somma, lo tennero prigioniero per sette anni. Tornò in patria nel 1172 cercando di proseguire in
vano il suo progetto di unificazione, unica possibilità per respingere le pressioni delle potenze
straniere che tentavano di impossessarsi dell'isola.
Lentamente tutti i Giudicati passarono sotto il controllo, formale o pratico, genovese e pisano e
successivamente anche catalano
d'Arborea il quale giudice Mariano IV d'Arborea sconfisse più volte le truppe catalano
che tentavano di occupare l'isola rivendicando il possesso del teorico  Regnum Sardiniae et
Corsicae, istituito a tavolino da papa Bonifacio VIII e assegnato alla Corona d'Aragona. Nel 1395 la
giudicessa
concezione giuridica totalmente sarda, anche se innestata col diritto romano
particolarmente innovativa per la cultura europea dell'epoca. La carta comprendeva un codice civile
ed uno rurale, per complessivi 198 capitoli, e segnava una tappa fondamentale verso i diritti
d'uguaglianza. Questo insieme di leggi rimase in vigore fino al 1827. La storia di Eleonora è
caratterizzata dal continuo tentativo di unire il Popolo Sardo e di difendere la propria terra dai
continui tentativi di invasione catalano
d'Arborea, dato che dopo la sua morte nessuno fu più in grado di contrastare efficacemente la
potenza iberica.
L'esperienza comunale in Sardegna. Nell'ambito cronologico dell'epoca giudicale è necessario
menzionare a parte le vicende delle città sarde che si diedero statuti propri, sulla scia dell'esperienza
dei comuni maturata sul continente, per lo più su ispirazione di forze politiche e sociali esterne. In
particolare due, quella di Sassari e quella di Villa di Chiesa, appaiono rilevanti per l'importanza
storica, istituzionale ed economica dei due centri.26
La Torre dell'Elefante, Cagliari.  Dell'esperienza comunale sassarese (1272 circa < 1323)
restano gli  Statuti della città, redatti in Latino e in sardo logudorese. Della vicenda di Villa di
Chiesa (1258 circa < 1323), fondata da Ugolino della Gherardesca e votata all'industria mineraria
argentiera, rimane testimonianza nelle leggi cittadine raccolte nel Breve di Villa di Chiesa (di cui
nell'archivio storico della città è custodito un bellissimo originale in pergamena, databile
presumibilmente al 1327).
In generale, delle autonomie e dei privilegi cittadini sardi (benché si trattasse di comuni
pazionati, ossia sottoposti al controllo di una città egemone, in questo caso Genova e Pisa) rimarrà
traccia successivamente nella storia del Regno di Sardegna, allorché alle città emerse dal periodo
precedente (alle due sopra citate, bisogna aggiungere: Castel di Calari, Oristano, Bosa, Alghero,
Castel Aragonese), verranno riconosciuti particolari status giuridici che ne faranno delle città regie,
ossia sottratte al dominio feudale e dipendenti direttamente dalla Corona, con propri rappresentanti
specifici nel parlamento degli Stamenti (il Braccio reale).
Le città in Sardegna rimarranno a lungo entità socio
ostili) al territorio circostante. Molte di esse, per varie vicissitudini, subiranno una decadenza da cui
non sapranno riprendersi che a fatica e solo di recente.
Il Regno di Sardegna.  Il  Regnum Sardiniae et Corsicae ebbe inizio nel 1297, quando Papa
Bonifacio VIII lo istituì per dirimere le contesa tra Angioini e Aragonesi circa il Regno di Sicilia
(che aveva scatenato i moti popolari passati poi alla storia come  Vespri siciliani). Il Regno di
Sardegna fu un'istituzione totalmente estranea alla realtà sarda, tanto che i sardi la combatterono
con tutte le loro forze tenendo testa alle forze aragonesi, che rappresentavano paradossalmente il
Regno di  Sardegna, per circa un secolo. La realizzazione della  licentia invadendi così concessa
ebbe inizio nel 1323, col re Giacomo II e poté dirsi conclusa nel 1420 sotto Alfonso V d'Aragona.
Attraverso varie fasi, la storia del Regno sardo percorre l'ultimo periodo del medioevo e giunge alla
sua conclusione tra il 1847 (Unione Perfetta con gli stati di terraferma) e il 1861 (proclamazione del
Regno d'Italia).
La vicenda di Leonardo de Alagon.  Discendente dei Giudici d'Arborea, questo feudatario
dell'oristanese che si proclamò difensore de Sardi è considerato dalla storiografia una delle figure
più significative della lotta indipendentista. La sua vicenda ha inizio quando, intorno al 1477, entrò
in conflitto con il vicerè aragonese Nicolò Carros. Quest’ultimo si adoperò affinché Giovanni II
d'Aragona  il senza fede condannasse Leonardo de Alagon per lesa maestà e fellonia. Il feudatario
sardo diede così il via ad una vera e propria rivolta dei Sardi contro il "Regno di Sardegna", che
dapprima vide gli aragonesi costretti in assedio nelle due roccaforti di Cagliari e Alghero, ma che
alla fine si concluse tragicamente nella battaglia di Macomer con la sconfitta dei ribelli Sardi e con
la fuga e successivamente la cattura dello stesso de Alagon. Questi morì il 3 novembre 1494 nella
prigione valenziana di Xàtiva.
La Sardegna e la Corona d'Aragona.  Il periodo che va dagli inizi del XIV secolo a circa la
metà del secolo successivo rappresenta per la civiltà occidentale un periodo di transizione dal
Medioevo all'età moderna. La società si svincola dai miti e dalle tradizioni medievali e si avvia
verso il Rinascimento. Purtroppo, questi cambiamenti non si riscontrano in Sardegna: questo
periodo corrisponde infatti all'occupazione aragonese; (ebbe inizio nel 1323 < 1324) ed è
considerato da molti come il peggiore di tutta la storia dell'isola. Il cammino verso l'età moderna
viene bruscamente interrotto e tutta la società isolana regredisce verso un nuovo e più buio
Medioevo. Le maggiori cause furono viste nelle continue guerre contro il Regno di Arborea e nel
regime di privilegio, di angherie e di monopolio esclusivo di ogni potere, instaurato a proprio favore
dai Catalano < aragonesi e poi dagli spagnoli.
Una testimonianza evidente della situazione creatasi è fornita dagli stessi Catalani, che ancora
nel 1481 e nel 1511 chiedevano al Re < nel loro Parlamento < la conferma in blocco degli antichi
privilegi, ricordando che erano stati concessi «per tenir appretada e sotmesa la naciò sarda»
(mantenere bisognosa e sottomessa la nazione sarda). Con il dispotismo e la confisca di tutte le
ricchezze si arrestò bruscamente il processo di rinnovamento economico, culturale e sociale che gli 27
Arborensi, i Genovesi, i Pisani e la Chiesa stessa, con i suoi ordini monastici, avevano suscitato nei
primi tre secoli dopo l'anno Mille.
In realtà gli aragonesi non disponevano dei mezzi per una tale invasione e riuscirono solo dopo
un secolo di guerre e di sanguinose battaglie ad unificare il Regno di Sardegna e Corsica, che fu
composto < per lungo tempo < unicamente dalle città di Cagliari e di Alghero. I due popoli
sconteranno duramente < in epoche successive < il loro combattersi accanitamente fino ad annullarsi
a vicenda. Sia i sardi che i catalano
estranee alla loro storia.
La Sardegna e la Corona Spagnola. Con la riconquista di Granada < il 2 gennaio 1492 < si
realizzò pienamente la riunificazione dei regni iberici, assiduamente perseguita da Ferdinando II di
Aragona e da Isabella di Castiglia.
Dopo il loro matrimonio celebrato a Valladolid il 17 ottobre 1469, con un accordo conosciuto
anche come la concordia di Segovia, nel 1475, i due sovrani avevano giurato di non fondere le due
corone in un unico Stato e ciascuna entità conservò le sue istituzioni e le sue leggi. Entrambi infatti
si chiamarono: re di Castiglia, di Aragona, di Leòn, di Sicilia, di Sardegna, di Cordova, di Murcia,
di Jahen, di Algarve, di Algeciras di Gibilterra, di Napoli, conti di Barcellona, signori di Vizcaya e
di Molina, duchi di Atene e di Neopatria, conti di Rossiglione e di Serdagna, marchesi di Oristano
e conti del Goceano.
La Sardegna e i Savoia < Il Regno di Sardegna. In seguito agli aggiustamenti territoriali seguiti
alla Guerra di successione spagnola, finita nel 1713, per un brevissimo periodo, tra il 1713 ed il
1718, l'isola passò agli Asburgo austriaci, dopo il trattato di Utrecht del 1713 che sancì la
separazione della Spagna dal suo impero. Filippo V di Spagna nel 1717 occupò Sardegna e Sicilia.
Il trattato di Londra del 2 agosto 1718 assegna l’isola al duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, che
l'accettò non tanto volentieri se non per il relativo titolo regio.
I problemi posti dal banditismo e dalla criminalità rurale spinsero il governo sabaudo a tentare,
inutilmente, di cedere l'isola in cambio di qualche altro possedimento. Non riuscendoci, Vittorio
Amedeo tenta di risolvere la situazione con una forte azione repressiva, come fa qualsiasi governo
di occupazione non gradito dalla popolazione, inviando contingenti militari per tentare di
contrastare il problema. Nel 1732 gli successe Carlo Emanuele III, che nel 1738 organizzò il rientro
di un gruppo di pescatori liguri originari di Pegli che stavano dal 1540 nella cittadina costiera di
Tabarka in Tunisia e li fece trasferire nell'isola  di San Pietro, dove venne fondata una cittadina
chiamata Carloforte in suo onore.
Nonostante diverse iniziative di ammodernamento, non avvenne però un sostanziale
cambiamento della situazione economica della popolazione, soprattutto per la opprimente presenza
feudale, sulla quale non si effettuò alcun intervento. Ciò a dimostrare che il governo sabaudo non ha
una decisa volontà di riformare la società sarda, mentre aumentò la pressione fiscale. In questa
situazione, la povertà non si riduce ed il malcontento accresce i movimenti di rivolta. Per la prima
volta dopo secoli i Sardi decisero di tornare a lottare per conquistare condizioni di vita migliori.
Iniziarono continue ribellioni e sommosse che sconvolsero tutta la Sardegna e si accentuarono
soprattutto con i grandi moti antifeudali e antipiemontesi del 1783. Nel 1789 numerosi villaggi si
rifiutarono di pagare i tributi feudali, provocando un nuovo intervento repressivo, in difesa degli
interessi feudali, per riportare con la forza l'ordine. Il movimento di protesta della popolazione
cominciò ad avere anche l'appoggio di intellettuali e uomini di cultura, soprattutto dopo il 1789,
anche per l'effetto della Rivoluzione Francese.
Dopo la rivoluzione, La Francia repubblicana tenta di diffondere i principi di libertà, fratellanza
e uguaglianza in tutta Europa. Nel 1793 la flotta francese agli ordini dell'ammiraglio Truguet
occupò Carloforte e Sant'Antioco, dove innalzò l'alberò della libertà, sbarcò in territorio di Quartu e
attaccò il porto di Cagliari. Con un'abile propaganda, aristocrazia e clero convinsero la popolazione
della pericolosità di francesi, che indicarono come nemici della religione, violenti e schiavisti. La
propaganda ottenne il risultato voluto, volontari sardi respinsero le truppe francesi. 28
Questi episodi di resistenza all'attacco francese,  proprio mentre le truppe piemontesi
incontravano serie difficoltà sulla terraferma,crearono l'illusione che il governo sabaudo potesse
concedere alle classi dirigenti sarde una gestione più indipendente della Sardegna. Vennero mandati
dei delegati a Torino per avanzare a Vittorio Amedeo III richieste precise, sintetizzate nelle così
dette cinque domande, un vero programma costituzionale. Le quali consistevano nella convocazione
del Parlamento mai più convocato dall'arrivo dei Piemontesi, la riconferma degli antichi privilegi
dei quali aveva sempre goduto il Popolo Sardo, la nomina negli impieghi civili e militari e nelle
cariche ecclesiastiche esclusivamente di sardi, l'istituzione a Torino di un Ministero per la Sardegna
e a Cagliari di un Consiglio di Stato per i controlli di legittimità. I delegati vennero tenuti a Torino
per mesi, senza ottenere risposte, mentre in Sardegna cresceva la tensione.
Giovanni Maria Angioy e il sogno di indipendenza. Il 28 aprile 1794 (sa die de sa Sardigna) la
popolazione insorse, sconfisse i piemontesi a Cagliari, Alghero e Sassari costringendo a lasciare
l'isola il vicerè e le sue truppe. Con la rivolta urbana si intrecciarono i moti antifeudali delle
campagne. Ne nacque un vero e proprio movimento rivoluzionario. In questa situazione emerse la
personalità di Giovanni Maria Angioy (1761 < 1808), giudice della Reale Udienza. La sua azione di
difesa della sua terra, iniziata già nel 1793, durante le operazioni che portarono alla cacciata
dall'isola delle squadre navali francesi, emerse dopo la rivolta del 1794, quando divenne l'anima del
Governo Sardo. Tra il 1795 e il 1796 la nobiltà conservatrice di Sassari ed i feudatari del Logudoro
tentano di rendersi autonomi da Cagliari per dipendere direttamente da Torino, allora il vicerè
Vivalda inviò Giovanni Maria Angioy a Sassari come  suo vicario con il titolo di  Alternos per
riportare gli insorti all'obbedienza al vicerè. Angioy venne accolto ovunque dalle popolazioni come
liberatore e si trovò presto in contrasto con lo stesso vicerè, quando invece di rappresentare gli
interessi piemontesi fomentò e diresse la grande sollevazione del 1796, un moto giacobino e
antifeudale indipendentista che lo vide da Sassari guidare la marcia verso Cagliari. La marcia, che
inizialmente sembrò vittoriosa, venne fermata nel giugno del 1796 ad Oristano, dove venne
sconfitto e dovette abbandonare la Sardegna rifugiandosi l'anno successivo a Parigi, dove morì
esule nel 1808 e con lui l'indipendenza del Popolo Sardo perse la possibilità di passare da sogno a
realtà.
I Savoia in Sardegna. Nel 1799 le truppe francesi occuparono il Piemonte costringendo i Savoia
a riparare in Sardegna dove rimasero fino al 1814 dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte.
Nell'isola si verificarono timidi tentativi di insurrezione, con Vincenzo Sulis, Gerolamo Podda,
Francesco Cilocco e il parroco di Terralba Francesco Corda, che tentarono di proclamare la
Repubblica Sarda, ma i rivoltosi vennero uccisi in  conflitto a fuoco o condannati a morte. La
presenza del sovrano nell'isola non attenuò il malcontento generale che sfociò nel 1812, in un anno
di terribile carestia, nel tentativo di insurrezione noto come  la congiura di Palabanda, guidato
dall'avocato Salvatore Cadeddu, che venne stroncato con durezza e si concluse con le esecuzioni di
Giovanni Putzolu, Raimondo Sorgia e dello stesso Cadeddu.
I piemontesi erano interessati al più completo controllo del territorio ed allo sfruttamento delle
sue ricchezze, risale a questo periodo il disboscamento selvaggio per la produzione di legname. A
tale scopo, nel 1820 Vittorio Emanuele I promulgò l'Editto delle chiudende, con il quale autorizzò
la chiusura, con siepi o muri, delle terre comuni. Consentì, quindi, per la prima volta nella storia
della Sardegna, la creazione della proprietà privatae venne del tutto cancellato il regime della
proprietà collettiva dei terreni, che era stata una delle principali caratteristiche della cultura sarda. A
ciò si aggiunga che la chiusura fu tutta in favore dei latifondisti e degli stessi piemontesi.
Fine del Regno di Sardegna. Nel 1847 con un atto giuridico venne sancita la fusione perfetta
della Sardegna con la terraferma e l'estensione anche all'isola dello Statuto Albertino. Un atto che
venne visto come l'ottenimento da parte della Sardegna di parità di diritti con il Piemonte, mentre i
diretti interessati, ossia i sardi, non poterono che vederlo come la definitiva cancellazione dei loro
valori storici e culturali. Nel 1860 Vittorio Emanuele II tenta di cederla alla Francia, ma poi nel
1861 entra a far parte del Regno d'Italia. 29
In un certo modo quindi il Regno d'Italia può essere considerato una prosecuzione del Regno di
Sardegna, che di sardo nella sua storia ebbe sempre ben poco, e il cui nome ha fatto sorgere una
sorta di equivoco storico in quanto alla fine i sardi hanno sempre combattuto contro un regno
straniero che portava beffardamente il nome della loro terra.
La Sardegna contemporanea.  La Sardegna tra Otto e Novecento è una regione marginale,
povera e spopolata del nuovo stato italiano. La modernizzazione forzosa e superficiale e i conflitti
commerciali con altri paesi europei (specie con la Francia) ne condizionano pesantemente l'assetto
produttivo e sociale. A ciò si accompagna poi il fenomeno del banditismo.
Contemporaneamente tuttavia emergono anche pulsioni ed espressioni culturali al passo con i
tempi e di livello assoluto (scrittori, artisti, uomini politici). Le contraddizioni accompagnano tutto
l'arco della storia contemporanea dell'Isola, a fasi alterne tra momenti di crisi e momenti di crescita,
sia pure problematica.
Nella Grande Guerra i sardi si distinsero in particolar modo con la Brigata Sassari. Alla fine della
guerra a causa della mancata risposta dello Stato Italiano alle istanze di sviluppo e di
infrastrutturazione dell'isola fra gli ex combattenti, soprattutto per l'azione politica di Emilio Lussu,
nasceranno nuovi fermenti politici che porteranno alla nascita del Partito Sardo d'Azione. Durante il
fascismo al fine di incentivare la politica dell'autarchia, saranno realizzate una serie di infrastrutture
e di bonifiche di numerose paludi, con l'insediamento di gruppi di coloni provenienti da varie parti
d'Italia principalmente dal Veneto. Saranno anche incrementate le attività estrattive. Saranno anche
fondate alcune città come quella mineraria di Carbonia e quelle agricole di Mussolinia rinominata
nel dopoguerra Arborea e di Fertilia.
Con la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, parallelamente alla Costituzione
repubblicana italiana, viene promulgato lo Statuto  di autonomia della nuova Regione sarda, una
delle cinque a statuto speciale previste nel nuovo ordinamento statale.
Il dopoguerra, caratterizzato dalla battaglia vinta contro la malaria e dalle richieste e
rivendicazioni di condizioni economiche migliori, vede da un lato l'imporsi delle  servitù militari
(come pegno agli assetti geopolitici internazionali cui l'Italia deve far fronte) dall'altro la politica dei
così detti Piani di Rinascita, misure legislative speciali per il finanziamento dell'industrializzazione
della Sardegna.
Ne conseguono sostanziali fallimenti socio
pure costituzionalmente riconosciuta. A ciò si accompagna un nuovo fenomeno migratorio e il
ripresentarsi del problema del banditismo, che imperverserà. Cresce e si afferma intanto il settore
turistico, fino a fare dell'Isola una delle mete più appetite a livello italiano e internazionale.
Rimangono inoltre sempre vivi i fermenti culturali, sia nel senso di una costante riproposizione
delle tradizioni sia in quello dell'espressione di  talenti artistici e letterari e di figure politiche ai
massimi livelli.
L'indipendentismo che per molti anni era limitato ad una esigua elite di intellettuali come
l’architetto Antonio Simon Mossa, nei primi anni 1970 si materializza in un movimento culturale e
politico, sostenuto anche dal cantautore Fabrizio De André. Nel 1973 fondato fra gli altri da Angelo
Caria, nacque il movimento Su Populu Sardu. Da questo, nei primi anni 1980, a seguito di una
scissione nascerà il Partidu Sardu Indipendentista, che nel 1994, con il contributo dello stesso Caria,
darà vita a Sardigna Natzione. Nel 2001 a seguito di una rottura all’interno del movimento fu
fondato da Gavino Sale l’IRS, che eleggerà lo stesso Sale nelle elezioni provinciali di Sassari del
2006.
Alla fine del XX secolo, la Sardegna, come regione dello Stato italiano, risulta attestarsi a mezza
via tra le regioni a più alto reddito annuo pro capite del nord peninsulare e quelle meridionali a
reddito pro capite più basso. Altri indicatori ne sanzionano gli innegabili progressi sia economici,
sia sociali, ma non annullano le obiettive difficoltà di crescita e di sviluppo ancora presenti.
Negli anni più recenti, l'espansione delle nuove tecnologie e il miglioramento dei collegamenti
con l'esterno (specie quelli aerei, grazie alle compagnie c.d. low cost) sembrano tendere ad attenuare
l'insularità. Caratteristica della quale viene troppo spesso dato peso agli aspetti negativi e svalutati 30
gli aspetti positivi, tanto da considerare la Sardegna regione marginale quando in realtà si trova al
centro del Mediterraneo occidentale.
La proprietà della terra. In Sardegna vi sono grandi differenze tra l'uso della terra da pascolo
nelle zone del sud pianeggiante e quello delle zone montane. In queste ultime zone, prettamente
pastorali, erano soprattutto le terre comuni ad essere sfruttate. Si tratta delle località su cui ebbe
scarsa diffusione la chiusura delle terre.
In Sardegna vi sono grandi differenze tra l'uso della terra da pascolo nelle zone del sud
pianeggiante e quello delle zone montane. In queste ultime zone, prettamente pastorali, erano
soprattutto le terre comuni ad essere sfruttate. Si tratta delle località su cui ebbe scarsa diffusione la
chiusura delle terre. Scarsa applicazione dell'Editto delle chiudende (1823) si ebbe anche nelle zone
cerealicole del sud  ma i motivi della mancata chiusura furono senza dubbio differenti. Nelle zone
di montagna (Barbagia e Gerrei) la proprietà della terra non si concentrò nelle mani di privati bensì
passò per gran parte dalle mani dei feudatari, della Corona, della Chiesa a far parte delle terre
comunali. Altro è il motivo delle terre aperte del sud cerealicolo:
<<[…] Zone di terreni aperti rimasero anche le pianure meridionali:Arborea,Marmilla,
Trexenta, Campidano. Qui, i coltivatori erano di gran lunga la classe preponderante ma erano, per
la maggior parte, troppo poveri per poter rinunciare senza contropartita ai vantaggi del sistema
comunitario. I villaggi di queste zone comprendevano un piccolo numero di grandi proprietari e un
grandissimo numero di braccianti agricoli che possedevano appezzamenti microscopici,
insufficienti persino alle necessità della loro sussistenza […]>>, “Le Lannou, Pastori e contadini
di Sardegna, Edizioni della Torre, Cagliari – 1992”.
La comunella. Generalmente in tutta l'isola, la proprietà della terra era di fatto concentrata nelle
mani dei contadini. Dove le condizioni non permisero l'uso della terra comunale, o dove questa non
era sufficiente, si sviluppò la comunella. La comunione pascoli o comunella era (ed è ancora,
seppure con caratteri differenti) un'istituzione che metteva in relazione i contadini proprietari di
terre con i pastori; essa regolava inoltre l'accesso delle greggi alle terre comunali.
<< […] La komunella è anche indifferente al tipo di proprietà, privata o comunale o di altro
tipo: serve a regolarne l'uso contemperando le esigenze di pascolo con quelle della coltivazione.
Dove esistano terreni comunali destinati al pascolo, o alla coltura e al pascolo nella rotazione
biennale, il pastore ha di solito diritto di accesso a questa risorsa pubblica, in quanto abitante del
comune (e quindi parte dei «comunisti», come si diceva un tempo): e questo accesso è spesso
regolato all'interno della comunella […]>>, “G. Angioni, I pascoli erranti. Antropologia del
pastore in Sardegna, Liguori Editore, Napoli, 1989”.
Dunque condizione all'accesso dei pastori alla comunella era l'appartenenza alla comunità.
Spesso, inoltre, essa si affiancava all'organizzazione della vidazzone. I terreni privati (tranne i
chiusi e i vigneti) si mettevano in comunella affinché i pastori potessero condurvi le greggi; se i
terreni facevano parte della zona riservata alle colture (vidazzone) venivano aperti al pascolo dopo il
periodo del raccolto, se invece si trattava di terre a riposo (paberile) i pastori vi avevano libero
accesso per tutto l'anno. A seconda del numero dei  capi, ogni pastore pagava l'affitto alla
comunione pascoli che provvedeva a distribuire la dovuta quota a ciascun proprietario. Si tratta di
un'istituzione che si è formata parallelamente alla privatizzazione della terra che si è avuta verso la
metà dell'Ottocento: si tratta di una forma di distribuzione della terra non più dettata dalla comunità
bensì da un accordo tra privati.
I pastori, per ottenere pascoli sufficientemente ampi per il pascolo erano costretti ad accorpare
terreni che avevano provenienze differenti: terre di proprietà, terre derivate dall'affitto in linea
privata e ottenute attraverso i canali della comunella. Per far ciò si avvalevano della propria rete di
relazioni personali, sia parentali che amicali. Avevano maggior riuscita proprio quegli individui che
si davano maggiormente da fare nell'ambito relazionale costruendo e mantenendo in vita i legami
(attraverso rapporti di dono, di amicizia e/o di comparaggio con i proprietari delle terre). In questo
modo, la rete di relazioni di vario genere permetteva spesso l'accorpamento di diverse porzioni di
territorio. L'unione di tali porzioni garantiva una certa autosufficienza. Ma si trattava sempre di un31
espediente sociale che non intaccava la struttura della proprietà fondiaria fortemente caratterizzata,
in tutto il territorio dell'isola, da polverizzazione e dispersione.
Man mano che ci si avvicina ai nostri giorni, l'affitto della terra privata coinvolge una sempre
maggiore fetta del territorio utilizzato per il pascolo. Le terre non vengono più sorteggiate e i
rapporti privilegiati tra le persone della comunità (tra proprietari di terra e pastori) assumono una
rilevanza notevole. L'affitto della terra viene stabilito in base alla rete di rapporti esistenti tra  i
pastori e i proprietari. Oltre ai rapporti di parentela, a quelli di amicizia e a quelli di vicinato,  è
fondamentale la locazione abituale di pascolo, che talvolta assume anche un carattere ereditario.
I pastori che possedevano una qualche proprietà, seppur esigua, cercavano di prendere in affitto
le terre ad essa adiacenti. Essi ritenevano, e ritengono, che non si potesse negare loro la cessione in
forma d'affitto di terreni adiacenti a quelli già da tempo utilizzati.
L'uso di un territorio particolare, sebbene composto anche da terre private prese in affitto,
diviene col passare del tempo un diritto consuetudinario: i pastori di un paese cercano di sfruttare
sempre la stessa zona senza intralciarsi. Le greggi non devono incrociare i loro percorsi così come i
pastori evitano di chiedere in affitto le terre che sono "tradizionalmente" bacino di altri pastori.
<<[…] Ognuno ha la sua zona da affittare vicino il terreno comprato: è una regola da rispettare
perché il bestiame è abituato a pascolare in quella zona e quindi bisogna a rispettare le
capre[…]>>.
Questa sorta di diritto consuetudinario all'affitto si è rafforzato con la crisi dell'agricoltura. Per i
pastori è stato sempre più semplice trovare aree per il pascolo dei propri armenti e la stessa
competizione per accaparrarsi le terre in affitto è via via diminuita. Inoltre l'acquisto di terre da
parte dei pastori non è avvenuta in quella misura che ci si potrebbe aspettare: la facilità di
reperimento e il costo non eccessivo del pascolo in affitto (soprattutto se regolato dalla comunella)
ha fatto sì che ancora oggi siano pochi i pastori che decidono di acquistare terre per essere
assolutamente indipendenti.
Sardegna matriarcale. Le origini del nostro matriarcato vanno ricercate in Sardegna, culla della
più antica civiltà italiana. La crearono alcuni "popoli del mare" pelasgici provenienti dall'Asia,
dall'area egeo
emigrare dai vari epicentri territoriali per varie cause, ormai accertate dalle ricerche scientifiche e
dalle rilevazioni satellitari: disastri naturali (tra cui il biblico diluvio universale, generato dall'onda
d'urto di un asteroide che si abbatté sulla terra, il terremoto/maremoto che sconvolse l'area minoica,
e la desertificazione sahariana) e le aggressioni delle prime orde patriarcali indoeuropee. Si tratta di
quei mitici "giganti" (la parola viene dal greco e  significa "figli della Madre Terra") che si
dispersero nel Mediterraneo diffondendovi il culto  della terra e delle acque, il megalitismo, la
metallurgia e la cultura matrilineare."Due popoli,  discendenti degli antichi giganti, vennero ad
occupare in epoche diverse le regioni fertili, ospitali e ancora poco abitate della penisola italiana: i
Sardi e poi gli Etruschi". La grandezza (1900 km. di coste), la centralità e la difendibilità della
Sardegna ne fecero in epoca post < diluviana un rifugio privilegiato. Dalla miscela etnica sarda si
sviluppò una civiltà propulsiva, tutt'altro che chiusa: "dall'isola salparono navi che, per prime,
crearono una rete di comunicazioni con la penisola, portandovi tecniche avanzate, arti, conoscenze e
una visione magica e metafisica della vita".
La civiltà matriarcale ha avuto in terra sarda uno sviluppo e una persistenza eccezionali, ancora
scarsamente conosciuti. I ritrovamenti archeologici, relativamente recenti, ne hanno messa in
evidenza la sorprendente dimensione soprattutto nel Neolitico e nell'Eneolitico (6.000 < 1.500 a.C).
Tuttavia la sacralità del principio femminile si è conservata anche nei periodi successivi. Durante
l'età fenicia si è intrecciata al culto della dea Tanit e, durante la colonizzazione punico < romana, al
culto di Demetra/Cerere. Inoltre, malgrado le persecuzioni dell'integralismo cristiano, è stata
tramandata fino alle soglie dell'età cosiddetta moderna da una magica rete di donne di fuori che,
soprattutto nelle zone interne, hanno contribuito al fenomeno antropologico del "matriarcato
barbaricino". 32
Ne ho ripercorso le tracce in un suggestivo viaggio
neolitici abbandonati, remoti santuari, musei, pozzi sacri, necropoli, nuraghi e luoghi carichi di
energie psicofisiche. Queste tracce, del resto, non sono difficili da trovare: sono quasi ovunque,
numerosissime e abbastanza intatte. I siti preistorici anteriori alla fase nuragica sinora scoperti sono
oltre 120 e si condensano prevalentemente sul lato  ovest e nel centro dell'isola, tranne quelli di
Orgosolo, Oliena, Dorgali, Baunei e San Vito, ubicati a est. Sono caratterizzati dal megalitismo:
dolmen, circoli di grandi pietre, betili e menhir con i seni, con dee graffite, con doppie spirali. Ma
anche da insediamenti in superficie o necropoli ipogeiche scavati nella roccia calcarea: le domus de
Janas, o "case delle fate". Esse variano dalle piccole domus isolate, simili alle cavità naturali dei
"tafoni" scolpiti dal vento, alle decine di ambienti decorati delle necropoli di Su Crucifissu Mannu,
S. Andrea Prius di Bonorva (III millennio a.C.), o  Anghelu Ruju presso Alghero. I rilievi
planimetrici degli ipogei mostrano che essi hanno una forma a utero, a uovo o a corpo di dea.
La parola Jana è comune in tutto il Mediterraneo; è la dea Jaune nei paesi Baschi, l'etrusca Uni,
le romane Juno e Diana, la cretese Iune, la Ioni asiatica. In molte domus de Janas del V e IV
millennio a.C., ma anche altrove, sono state trovate in grandi quantità statuine di divinità femminili
in argilla, alabastro, calcarenite, caolinite, marmo, osso o arenaria quarzosa. Le più antiche sono
quelle tondeggianti della cultura di Bonu Ighinu (Mara), di Su Cungiau de Marcu (Decimoputzu),
Cuccurru S'Arriu (Cabras), Su Anzu (Narbolia) e Polu (Meana Sardo). La statuetta stetopigia di
S'Adde (Macomer) è simile agli idoli ritrovati in Anatolia e nel nord Europa. Nella cultura di Ozieri
del IV millennio a.C. le figure diventano piatte e stilizzate in forma di T, con la parte inferiore a
cono. Tra le dee soprannominate "cicladiche" per la loro impressionante somiglianza con altre
rinvenute nelle isole Cicladi, spicca la grande immagine della "Signora Bianca" di Turrigu, Senorbì.
Suggestiva e poetica è la semplicità delle dee "a traforo", ricavate da sottili lastrine marmoree.
Moltissime le dee con le braccia aperte a croce, fino alla minuscola dea
recuperata a Ploaghe, esposta nel Museo Sanna di Sassari dietro ad una grossa lente di
ingrandimento. Le affinità con analoghi reperti in  altri luoghi distanti migliaia di chilometri
dimostrano che la cultura matriarcale era basata su un linguaggio omogeneo diffuso in tutto il
mondo, come ha affermato l'archeologa Marija Gimbutas.
La manifattura di queste dee prosegue per tutta l'età del rame, su preziose lamine dorate. E
continuerà nell'espressione simbolica, sia pure decontestualizzata, attraverso i secoli. In filo diretto
con il Neolitico, esistono ancora oggi persone, in Barbagia, che mettono nella bara dei congiunti
morti sa pipiedda o sa pizzinedda, una piccola dea confezionata con la tela bianca o con la cera.
Oppure, anche in altre zone, è abituale l'usanza di intrecciare con striscioline di foglie di palma sa
mura, ovvero la Moira, la dea che decreta il destino, per regalarla durante la Domenica delle Palme.
Il culto della Grande Madre è protagonista anche in un singolare episodio del megalitismo sardo:
il santuario preistorico di Monte d'Accoddi presso  Porto Torres (2.700 a.C.), una piramide a
ziggurat che avvalora in modo inequivocabile l'ipotesi della matrice etnica orientale. Altri
sorprendenti risultati della "strana barbarie sarda" (Deledda) sono le Tombe dei Giganti, costruite
con enormi lastre di pietra disposte a semicerchio  secondo un preciso schema di riferimento
astronomico, e collegate con un lungo corpo a galleria retrostante. Bioarchitetture con un
isolamento a intercapedine, erano orientate verso la Croce del Sud (allora visibile anche
dall'emisfero boreale) ed erette in corrispondenza di falde acquifere e di forti flussi magnetici; la
stele verticale d'ingresso è conficcata nel punto di maggiore potenza. Venivano utilizzate a scopo
terapeutico con il procedimento dell'incubazione: chi era afflitto da epilessia, disturbi del sistema
nervoso e traumi psichici vi dormiva per cinque giorni e guariva con una vera e propria cura del
sonno, indotto dalle sacerdotesse con particolari sostanze soporifere e con sistemi ipnotici.
Affascinanti produzioni dell'architettura megalitica sono i pozzi sacri, come quello di Santa
Cristina a Paulilatino (Oristano) del primo millennio avanti Cristo, tagliato con inaudita precisione
nella pietra basaltica. Si entra in contatto con il potere taumaturgico delle acque sotterranee
scendendo una scala triangolare di 25 gradini che porta al pozzo circolare. Qui una camera alta 7
metri è sovrastata da un oculo attraverso il quale la luce della luna magnetizza lo specchio d'acqua. 33
Ogni 18 anni e sei mesi (l'ultima volta il 24 dicembre 1988) la luna scende esattamente in
perpendicolare nel suo tempio; ma vi torna in modo meno evidente ogni anno durante il plenilunio
invernale, rendendo così possibile la misurazione del mese lunare. Il triangolo dell'ingresso è
circondato da un recinto interno a forma di toppa di chiave (un triangolo accostato a un cerchio, che
è anche il simbolo della dea Tanit), e da un altro recinto esterno ellittico. Si tratta di un organismo a
stretto contatto con la natura, concepito come un orologio solare e lunare insieme, che segnalava i
solstizi e gli equinozi mediante la scala e l'oculo del pozzo. Ai margini di esso, sono ubicate
capanne circolari abitabili e un grande ambiente collettivo di riunione a cerchio, con una panca
continua per sedersi addossata alle pareti di pietre incastrate a secco.
I nuraghi sono una presenza costante nel panorama sardo. Ne sono stati inventariati oltre
settemila, costruiti dal 1.800 al 500 a.C. Probabilmente il loro nome deriva dall'antico sumero<
nuraghs, fiamma ardente: sulle loro sommità si accendeva il fuoco per fini rituali, ma anche a scopo
di segnalazione. Da ogni nuraghe se ne vedevano almeno altri due, il che assicurava una
efficacissima rete di comunicazione visiva e sonora, basata sulla triplicità. Alcuni, come quelli del
complesso Su Nuraxi di Barumini (1.500 a.C.), sono integrati da un pozzo e circondati da abitazioni
circolari. Prima di diventare le fortezze dei guerrieri Shardana, furono i templi astronomici di
popolazioni pacifiche: nel solstizio d'estate il sole illumina la cella interna formando un potente
cerchio di luce. La loro imponente struttura, a camere sovrapposte o laterali, accentrava energie
magnetiche dal sottosuolo, ed era anch'essa un luogo di pratiche sacre e terapeutiche. Presso i
nuraghi ci si riuniva, si giurava, si facevano oracoli, si celebrava la luna e si dormiva per curarsi,
come nelle Tombe dei Giganti. E nei villaggi nuragici, come quello di Serra Orrios con le sue
settanta capanne, la presenza sacrale dell'acqua, insieme all'energia del fuoco, è una costante. A
Barumini una donna ci ha raccontato una curiosa leggenda riguardante Eleonora d'Arborea, la
sovrana legislatrice che nel 1392 compilò la Carta de Logu (un codice di giustizia che, tra l'altro,
prevedeva sanzioni durissime per gli stupratori). Sembra che Eleonora, percorrendo un passaggio
segreto sotterraneo, si recasse spesso nell'antica zona sacra di Su Nuraxi, che allora era interamente
nascosta dalla terra, e dove si svolgeva la trebbiatura del grano.
I fenici arrivarono sulle coste sarde intorno al 1.000 a.C. e si stabilirono soprattutto lungo il
versante occidentale. Fondarono i loro primi insediamenti permanenti (Cagliari, Nora, Sulci,
Tharros, Bithia) tra la fine del IX e l'VIII secolo a.C., e in seguito si integrarono nella
colonizzazione cartaginese (510 a.C.). Alla Tanit fenicia, la "nutrix", erano dedicati i "tophet", siti a
cielo aperto recintati con muretti dove si seppellivano i bambini nati morti oppure deceduti entro sei
mesi dalla nascita, insieme a piccoli animali. Sono luoghi commoventi, che i Romani invasori, e
conquistatori dal 238 a.C. al 476 d.C., cercarono di infangare nello stesso modo in cui screditarono i
druidi celtici, cioè inventando la menzogna di sanguinosi sacrifici infantili alla dea < smentita dalla
presenza di embrioni. Nel "tophet" di Monte Sirai presso Carbonia (IV
stele di dee che stringono al petto un fiore di loto, e un'altra con Tanit
maschera contro gli spiriti maligni e il tamburello per le danze funebri; un motivo che si ritrova
anche in parecchie statuine brucia < incensi di piccole dimensioni. A Nora venne costruito un grande
tempio di Tanit (IV < II secolo a.C.). Ma il ritrovamento forse più singolare della fase fenicio
è quello del santuario di Bithia (Domusolemaria): decine di figurine votive in argilla che indicano la
parte del corpo malata, plasmate durante l'ipnosi terapeutica indotta dalle bithiae (letteralmente:
donne con le pupille doppie), le sacerdotesse
Infine risalgono all'epoca romana < che costruisce  radi insediamenti sparsi su tutta l'isola, in
funzione di controllo < numerose statuine di Demetra/Cerere a schema cruciforme, oppure con
fiaccola e porcellino. Sono generalmente brucia < incensi in argilla, prodotti con un'iconografia
molto simile sin dalla fase punica (di cultura greca), dal 500 a.C. al 100 a.C.
Le tradizioni sarde e le sue leggende, che furono studiate con attenzione dalla grande scrittrice
Grazia Deledda, sono strettamente legate alle radici matriarcali. Gioca in esse un ruolo
fondamentale lo sciamanesimo femminile risalente al periodo neolitico. Fino alla prima metà del
Novecento, le deinas continuarono ad essere "veggenti stimate e temute allo stesso tempo". 34
Chiamate anche videmortos per la loro capacità di comunicare con i defunti, si iscrivono nella
genealogia delle janas , le sacerdotesse che non potevano appartenere ai comuni mortali, ma solo a
se stesse. Si racconta che quando las fadas (le fate) del Monte Oe scendevano a mezzanotte a ballare
nella piazza del paese, se qualche uomo cercava di toccarle veniva schiacciato da una maledizione:
Ancu ti tocchet sa musca maghedda! ("Che tu sia punto dalla mosca maghedda!", un insetto letale).
Il loro corredo magico comprendeva lo specchio, il  setaccio o vaglio, il velo, gli arnesi da
tessitura; e naturalmente le erbe, gli unguenti e le sostanze che favorivano la trance, tra cui il
giusquiamo, la belladonna, la datura, l'olio di ginepro, l' Orrosa 'e cogas (Rosa delle streghe), la
peonia e il fungo Amanita muscaria (in dialetto, "allucinato" si dice tuttora muscau). I loro poteri
erano il dominio del fuoco, il contatto con gli spiriti, l'oracolo, la capacità di visione a distanza e di
guarigione, l'estasi e la trance (andare in calazonis), il volo magico. Queste pratiche, esercitate
apertamente ancora nei primi secoli del cristianesimo, non cessarono mai del tutto e sopravvissero
sotterraneamente anche ai 767 processi intentati dell'Inquisizione tra il 1562 e il 1688, l'80% dei
quali riguardavano "fattucchiere e sortileghe". Le  più perseguitate furono le streghe di Castel
Aragonese (oggi Castelsardo); gli inquisitori individuarono come luogo del sabba la misteriosa
località della piana del Coghinas, dove attualmente si trovano le terme di Casteldoria.
Alla repressione cristiana resisté tenacemente anche l'antichissimo culto lunare di Diana, di cui si
trovano vistose tracce nella toponomastica dell'isola (Lunamatrona, Nuraghe Luna, Cala Luna,
Monte Luna, Monte Diana, etc.). Nel mondo romano Diana Lucina fu ufficialmente onorata fino al
IV secolo dopo Cristo con la solenne processione notturna del 13 agosto, fatta da donne che
tenevano in mano una torcia. Durante il medioevo, la venerazione della dea venne ripetutamente
investita dagli anatemi della chiesa e demonizzata. Ma Artemide
protettrice: "puniva coloro che violentavano le vergini e si macchiavano di ogni altra sopraffazione,
così come puniva coloro che esercitavano la caccia in modo selvaggio, effettuando una distruzione
senza limiti. Anche i cuccioli, al pari dei bambini, erano sotto la sua protezione e dovevano essere
risparmiati".
La dea assisteva le partorienti e le balie, presiedeva alla crescita di ogni genere. Veniva invocata
fino a una cinquantina di anni fa in filastrocche che si ripetevano quasi invariate in numerosi paesi
della Sardegna centrale. Le ragazze le recitavano sedute in cerchio e battendo le mani, oppure in
girotondo ad occhi chiusi, dopo aver guardato la luna: Luna luna, paraluna, paristella / ses sa bella
de muntanna... Luna luna, porchedda luna / porchedda ispana, sette funtanas / sette chilivros,
appiccamilos / sutta sa mesa, luna Teresa, / Teresa luna, dammi fortuna. E tuttora, nella Bassa
Gallura, si saluta la luna nuova con l'esclamazione: Luna miraculosa, dammi la grazia di l'anima.
Tra le donni di fuora che appartengono alle leggende popolari c'è la gioviana, un genio tutelare
femminile che si presenta nelle case la notte del giovedì quando le donne si attardano a filare, per
aiutarle; la vampiresca coga o sùrbile, frutto della criminalizzazione cristiana, ma percepita anche
come una Nemesi che impone la giustizia; le panas o pantamas, spiriti di donne morte di parto che
durante la notte si recano lungo i corsi d'acqua; la Saggia Sibilla che abita con altre janas nella
grotta del Carmelo presso Ozieri, e alla quale la tradizione orale attribuisce il segreto della
lievitazione del pane e l'invenzione dei fermenti lattici; le fadas che vivono nei nuraghi e tessono la
buona e la cattiva sorte con un telaio d'oro.
Ma, al di là dei racconti leggendari, le ultime depositarie di un sapere antichissimo hanno
costituito sino a pochi decenni fa una presenza e una realtà molto diffusa tra la popolazione sarda.
Non accettavano denaro, solo prodotti in natura. Abili erboriste, le orassionarjas guarivano anche
con formule magiche dette verbos e usavano tre grani di sale per scacciare il malocchio. Le anziane
accabbadoras (dal fenicio "hacab", mettere fine) accompagnavano nel trapasso della morte e
abbreviavano le dolorose agonie, oppure dopo le esequie si recavano al cimitero per "chiudere la
casa", girando tre volte la punta di una grossa chiave sulla tomba. Tre donne (una giovanissima, una
matura e una vecchia) svolgevano insieme un rituale terapeutico contro le febbri perniciose
recandosi ad un trivio, togliendosi una pianella e tracciando a terra con essa cerchi e croci. E anche35
attualmente esistono deinas che praticano la cosiddetta "medicina dello spavento" a chi è oppresso
da incubi o ossessioni, oppure adottano la gestualità lustrale dell'acqua gettata dietro le spalle.
Passata dagli antichi splendori ad un destino di "eterna colonia" sfruttata e maltrattata, la
Sardegna ha mantenuto il suo profumo, emanato coralmente dalla vegetazione dell'isola che ancora
sopravvive alla criminale violenza degli incendi, e pazientemente si ricrea: mirto, cisto, tamerici,
zafferano, euforbia, fiordaliso spinoso, fichi d'india, peonie selvagge, gigli di sabbia, rosmarino,
fillirea, ginepro, oleandro, boschi di querce da sughero, lentischi, eucalipti, pini, corbezzoli, ulivi e
olivastri. Non sono svanite neanche la fierezza e la forza delle donne che la abitano, così come non
sono state cancellate nel quotidiano contemporaneo  le immagini delle dee, ancora riprodotte con
naturalezza e orgoglio nelle manifatture di oreficeria o sull'etichetta di un vino. Non a caso, in
questa regione le cooperative femminili in qualsiasi settore sono una realtà diffusissima e abituale:
la presenza degli uomini nel lavoro, mi ha spiegato concisamente una ragazza con un fermo sguardo
da jana, non è indispensabile.
I quattro mori. Lo scudo con croce rossa accantonata da quattro mori bendati è il simbolo del
popolo sardo. Studiosi di tutti i tempi si sono mossi in un complesso intrico di leggenda e realtà
storica, tra Sardegna e Spagna, cercando di ricostruire origini, significati e vicende, ma lo stemma
dei quattro mori rimane ancora oggi sostanzialmente un mistero.
La tradizione iberica lo considerava una creazione di re Pietro I d'Aragona, quale celebrazione
della vittoria di Alcoraz (1096), che sarebbe stata ottenuta anche grazie all'intervento di San Giorgio
(campo bianco e croce rossa) e che avrebbe lasciato sul campo le quattro teste recise dei re arabi
sconfitti (quattro mori).
Sulla tradizione iberica si innestò la tradizione sarda che, contro ogni evidenza storica, legava lo
stemma al leggendario gonfalone dato da papa Benedetto II ai Pisani in aiuto dei Sardi, contro i
crudeli saraceni di Museto che in quegli anni minacciavano di conquistare Sardegna e Italia (1017).
In realtà, la più antica attestazione dell'emblema risale al 1281 ed è costituita da un sigillo della
cancelleria reale di Pietro il Grande d'Aragona. Ma fu soltanto nella seconda metà del XIV secolo
che i quattro mori apparvero per la prima volta legati alla Sardegna, simbolizzandone il regno
all'interno della confederazione della Corona d' Aragona (Stemmario di Gerle).
Importato dunque dai re aragonesi, il simbolo comparve nella Sardegna spagnola su opere a
stampa, monete e sui gonfaloni dei corpi speciali dei Tercios de Cerdeña, istituiti da Carlo V per la
difesa dell'isola e distintisi a Tunisi (1535) e Lepanto ( 1571) nelle operazioni contro i Turchi.
L'iconografia del simbolo fu in questi secoli quanto mai confusa e le teste dei mori furono
rappresentate in vario modo: volte a destra e a sinistra o affrontate, scoperte, coronate, cinte da una
benda sulla fronte.
Risale alla metà del Settecento l'iconografia destinata a perdurare, con le teste volte a sinistra e le
bende calate sugli occhi. Delle ragioni di quest'ultima innovazione, se dettate dal caso oppure più
maliziosamente alludenti agli atteggiamenti (illiberali) del governo piemontese verso la popolazione
isolana, non sapremo mai.
Lo stemma comparve nell'arma composita della dinastia piemontese, su atti, monetazione di
zecca sarda e bandiere dei miliziani. Successivamente ornò gli stendardi delle brigate combattenti
sarde, tra queste la "Sassari", divenuta leggendaria per le imprese eroiche sul fronte austriaco della
Grande Guerra.
Nel 1952 lo scudo dei quattro mori diventava stemma ufficiale ed ornava il gonfalone della
Regione Autonoma della Sardegna (decreto del Presidente della Repubblica del 5 Luglio 1952).
Oggi i Sardi hanno la loro bandiera (legge regionale del 15 Aprile 1999 n°10), ma i quattro mori,
memori dell'antico affronto piemontese, hanno significativamente voltato la testa e aperto gli occhi,
non più fasciati dalla benda.
Vi proponiamo un interessantissimo articolo apparso sulle pagine del comune di Aggius a firma
di Andrea Muzzeddu dal titolo: Nello studio dell'araldica le radici di un popolo i Quattro Mori,
ovvero l'insegna della schiavitù. 36
Le vicende dei nostri antenati, anche se appartengono al settore della cosiddetta “storia minore”,
assumono per noi una notevole rilevanza, sia per la ricostruzione della nostra identità, come per il
recupero della nostra storia, che per la valutazione della nostra tradizione. Per millenni la cultura
indigena ha cadenzato il modo di essere e di agire dei sardi. Noi oggi ne riproduciamo, sia pur solo
in parte,  le gesta attraverso forme di attività  folkloristiche.
Ora, questo patrimonio costruito nei secoli rischia di scomparire per sempre incalzato, per un
verso, dalla “prepotenza culturale” della  comunicazione di massa, che porta ad omologare “il modo
di pensare e di agire” della gente, per l’altro, dal flusso turistico che, per esigenze economiche,
desidera sempre più “prodotti di cultura locale” a  buon mercato favorendo così la loro
standardizzazione. Se non si reagisce per tempo, si rischia di perdere per sempre la “cultura del
nostro popolo” e con essa la nostra identità sarda. In senso etnologico, l’identità di un popolo si
riconosce quando questo dimostra di possedere un “costume sociale e culturale” basato sulle stesse
origini. Per esprimere, simbolicamente, questa entità sociale ci si avvale di una bandiera, nella quale
i colori e la loro posizione determinano l’identità territoriale. Il “segno/simbolo” utilizzato, dunque,
si avvale di un indizio sensibile (di natura visiva e/o acustica) col quale si dà notizia circa qualcosa
di convenuto fra le persone… esso rappresenta un determinato modo di essere e, su questa sua
essenza, indica una realtà sociale, richiama un’entità culturale e ricorda la sua storia. Tutti elementi,
questi, che sulla base della “scienza araldica” determinano i criteri guida fondamentali per stabilire
lo “stemma” di rappresentanza per una determinata “etnia”.
In questo modo, bandiera e stemma simboleggiano l’identità di una nazione e per questo lo
stemma della Repubblica italiana, utilizzato in modo particolare dalla flotta navale, posto sul bianco
del tricolore, simbolo del risorgimento e frutto della rivoluzione francese assunta come esempio per
la libertà dei popoli, raccoglie in sé i simboli delle “repubbliche marinare” di Amalfi, Genova, Pisa
e Venezia che, nel secondo millennio, dettero lustro alla storia d’Italia. La stessa bandiera, nel
periodo del regno d’Italia, utilizzava come stemma il blasone dei Savoia.
Bandiera e stemma della Regione Sardegna seguono la stessa logica ma, a differenza di quella
nazionale, non rispettano l’identità del popolo sardo anche se, per acculturazione, ne abbiamo
accettato la rappresentanza. Di fatto sono il risultato di una scelta politica effettuata dal Consiglio
regionale, che si dimostrò, per un verso, ideologicamente dipendente dalla scelta di questo simbolo
da parte del Partito Sardo d’Azione, costituitosi subito dopo la conclusione della Prima Guerra
Mondiale, e, per l’altro, poco rispettoso della storia della Nazione Sarda adottando, così, il simbolo
dei dominatori aragonesi invece che quelli più autenticamente sardi provenienti dai rispettivi
Giudicati.
Lo stemma dei Quattro Mori ha origini antiche, ma lontane dall’isola, che risalgono al 1106. In
quell’anno, Pietro I, re di Aragona, riconquistò gli alti Pirenei sconfiggendo, nella piana di Alcoraz,
di fronte alla città di Huesca, il re saraceno Abderramen. Dopo la vittoria fu issata, insieme alle
insegne dei Conti di Barcellona (lo scudo con quattro pali rossi in campo oro [giallo]), la bandiera
dei Quattro Mori, o meglio, lo stemma che riportava, nei quattro quarti bianchi formati dalla croce
rossa (la croce di San Giorgio, loro protettore) la testa del moro con la con la benda sulla fronte
(simbolo di regalità), per ricordare la battaglia e la sconfitta del sovrano avversario.
Intorno al 1150 il Regno d’Aragona si fuse col Principato di Catalogna e, negli anni successivi,
per garantirsi le vie del ricco mercato Mediorientale, iniziò a conquistarsi una “rotta” che
comprendeva le Baleari, la Sardegna, La Corsica, la Sicilia e Cipro. Una successione di attracchi
sicuri e ben congeniati. Utilizzando, per i loro traffici, la copertura della “difesa del cristianesimo”
fu facile ottenere dalla Santa Sede, nel 1297, l’autorizzazione al possesso della Sardegna e della
Corsica, uniti nominalmente in un solo Regno. Nel 1324, dopo aver sottratto ai pisani il Giudicato
di Cagliari, di Torres e della Gallura, il “Regno di Sardegna e Corsica” iniziava ad essere istituito
anche di fatto. La Corsica, però, resistette ai vari tentativi d’invasione e rimase genovese.
Il “Regno di Sardegna e Corsica”, pertanto, divenne solamente “Regno di Sardegna” che, a
partire dal 1420, comprendeva tutta l’isola essendo ormai stato sconfitto il Giudicato d’Arborea che
per molti anni aveva combattuto contro gli iberici per l’egemonia sull’isola. Con l’istituzione del 37
“Regno Sardo” i catalano/aragonesi tennero per sé la bandiera con i “Quattro Pali Rossi in Campo
d’Oro” e cedettero alla Sardegna quella dei “Quattro Mori con le bende sulla fronte”.
Nel XVII secolo, si ritiene per un errore di stampa, le bende coprirono gli occhi ai Mori… con
questa errata rappresentazione lo stemma è rimasto, a rappresentare l’isola,  fino all’arrivo dei
Savoia (1720) che vi aggiunsero “l’Aquila Sabauda portante una Croce Bianca in Campo Rosso
bordato di Azzurro”. Questa nuova veste fu inserita nel tricolore, adottato da Carlo Alberto (1848) e
lì rimase fino alla proclamazione del Regno D’Italia (1861) la cui nascita poneva termine al Regno
di Sardegna dopo 567 anni d’esistenza.
Lo stemma dei Quattro Mori ricomparve nel 1921, quando alcuni reduci della Grande Guerra
fondarono il Partito Sardo D’azione… Caso volle che questi, interessati più alla politica che alla
storia dell’isola, non solo scegliessero, come simbolo di riscatto, lo stemma consegnatoci dai
dominatori, ma che adottassero anche quello con la  grafica sbagliata: i Mori con la benda sugli
occhi e non sulla fronte. Dei poveri ciechi, dunque, e non dei re.
Nel 1950, lo stemma dei Quattro Mori (ciechi) divenne il simbolo della Regione Autonoma della
Sardegna per voto della maggioranza qualificata dei componenti del Consiglio Regionale. Solo nel
1999 lo stesso Consiglio ha rettificato l’errore grafico stabilendo di riportare la benda sulla fronte
dei Mori… così questi possono, finalmente, “vedere” che i sardi, in ossequio al loro servilismo
atavico, continuano ad utilizzare, come simbolo rappresentante la loro etnia, uno stemma
appartenente ad altra cultura.
Il riso sardonico. Antoine
francese, classicista e romantico, scrisse "Il Viaggio in Sardegna" con l'intento di costituire una
sorta di guida, un “Indicatore” che, analogamente alla sua opera più nota, "Voyages historiques
et littéraires en Italie, pendant les anneés 1826,  1827 et 1828, ou l’Indicateur italien", avrebbe
dovuto accompagnare i turisti nella visita di quella terra quasi sconosciuta che era allora l’Isola,
consentendo inoltre l’iniziazione di un pubblico più vasto all’originalità della sua letteratura, alle
diversità di lingua e di costumi.
Leggiamo cosa scrive relativamente al famoso "riso sardonico".
 L’abbondanza di  ranunculus sceleratus nelle vallate di Fordongianus riporta alla ribalta la
questione del riso sardonico o della smorfia.
Secondo un’antica tradizione, la contrazione dei muscoli facciali veniva provocata
dall’ingestione di una certa pianta ed era seguita da contorsioni del tutto involontarie che diedero
luogo all’espressione «ridere contro voglia» e, di conseguenza, fu usato come sinonimo di ipocrisia
o scettica risata di scherno.
Un medico che viveva in città, la cui conoscenza della botanica, acquisita presso un’università
straniera, e la grande esperienza dell’Isola, gli conferivano molta autorevolezza, mi informò che
esistono due piante: una, che è qualcosa di simile  al prezzemolo selvatico, nota come  aethusa
cynaprium; l’altra, il  ranunculus sceleratus, o ranuncolo dalle foglie a forma di sedano, da molti
ritenuta una specie inferiore.
Queste piante crescono in abbondanza in luoghi paludosi e spesso vengono confuse con altre
commestibili. Se vengono ingerite, gli effetti che causano sono la nausea, il vomito e le vertigini,
seguiti non soltanto da una contrazione dei nervi del viso, ma anche di altre parti del corpo. I rimedi
cui il citato medico ricorreva in tali evenienze erano gli emetici, l’olio d’oliva, i salassi, la dieta
assoluta e l’acqua zuccherata.
Il capitano Smyth così annota: «Nelle mie frequenti indagini sull’argomento, riscontrai che era
molto diffusa l’opinione della sua esistenza e che il risus sardonicus era un termine d’uso comune.
Da diverse persone la pianta mi fu descritta come un’erbaccia parassita che cresce sulle sponde
dei ruscelletti fra le piante acquatiche e che, a Terranova, viene chiamata djarra mentre a
Tempio cohone. Un agricoltore di Alghero mi disse che era pericolosissimo mangiare i crescioni
d’acqua perché il mortale parassita aderisce strettamente alle foglie ed a ragione di ciò mi
consigliò di ordinare ai miei barcaioli di buttar via alcuni begli esemplari che avevano appena
colti Comunque, dal momento che non riuscii a procurarmene uno in alcuna di quelle località, né 38
ad ottenere una qualche attendibile informazione sull’argomento, debbo dedurre che, o in quelle
zone l’erba non è stata riconosciuta dagli studiosi moderni, oppure che tutta la faccenda sia da
ascrivere ad una leggenda popolare che non merita credibilità maggiore di quella delle fonti
magiche ecc.».
Vediamo ora in quale misura queste affermazioni siano confermate dagli autori antichi.
Plinio parla di quattro specie di ranuncolo, la seconda delle quali si identifica nel summenzionato
sceleratus e nel sedano selvatico, o melissophyllon, il nostro aethusa cynaprium, che egli afferma
essere «decisamente da bandire in Sardegna per le sue proprietà venefiche». Dioscoride afferma
che «quando esso viene ingerito, fa perdere i sensi e produce uno strano spasimo, così che
sembra veramente che coloro che lo hanno mangiato ridano di continuo e da qui deriva, perciò,
l’espressione del “riso sardonico”. In caso di spasmi, occorre somministrare al paziente miele ed
acqua, fargli bere una grande quantità di latte, praticare bagni caldi a base di olio ed acqua,
frizioni, unzioni ed ogni altro genere di rimedi».
Andrés de Laguna, dibattendo l’argomento in un brano della sua opera,  Sobre Dioscórides
Amazarbeo (dedicato, non a caso, all’Imperatrice del Cielo,  la Vergine degli Abbandonati, «a la
Emperatriz del Cielo, la Virgen de los desamparados»), consiglia di trattare il caso in modo simile
a qualsiasi altro spasmo, soltanto che è necessario l’impiego di calore. Il rimedio suggerito, per certi
versi, è anche divertente: «Tiénese pues en este caso por remedio excelente la  borrachez; y así
convién emborrachar los pacientes, dándoles a bever vino dulce en gran cantidad para que
duerman muy largo tiempo», «In questo caso l’ubriachezza costituisce un rimedio eccellente e
perciò conviene ubriacare i pazienti, dando loro da bere gran quantità di vino dolce
cosicché dormano a lungo».
Egli consiglia inoltre impacchi caldi di vino e di erbe varie applicati, in particolare, sulla colonna
vertebrale e sul collo.
Solino nel Polyhistor fa una descrizione analoga degli effetti di questa pianta.
L’espressione proverbiale del “riso sardonico” è assai antica.
La usa anche Omero e su questo punto i commentatori si sono cimentati in una lunga
dissertazione, attribuendone l’origine alla tradizione dell’accabadura, un argomento trattato in altro
punto.
Per ulteriori delucidazioni il lettore viene rinviato a Strabone, Platone, Cicerone, Virgilio,
Polibio, Plutarco, Luciano e Xenodoto i quali tutti usano l’espressione nel medesimo senso.
Le parole di Pausania sono forse sufficientemente interessanti da meritare una completa
citazione: «L’Isola è inoltre indenne da ogni specie di erbe velenose e letali, ad eccezione di una
che assomiglia al prezzemolo la quale, si dice, faccia morire ridendo coloro che la mangiano. Da
questo particolare, Omero per primo, successivamente gli altri, definiscono sardonico il riso che
nasconde una malattia mortale. Quest’erba cresce per lo più in vicinanza di ruscelli e tuttavia non
trasmette all’acqua la sua potenza venefica».
Xenodoto, citando il proverbio, allude ad una frase di Eschilo la quale è stata interpretata in
maniera analoga al brano di Omero con riferimento alla accabadura ed anche Andrea Scotto ha
formulato dotte osservazioni sull’argomento nella sua edizione di Xenodoto.
Quasi tutti i botanici si soffermano sul sapore amaro della pianta del ranuncolo, specialmente
dello sceleratus, e dai summenzionati accreditati autori risulta evidente che le sue qualità peculiari
fossero ben note agli antichi, così come lo sono agli attuali abitanti dell’Isola. L’uso della pianta,
come dimostrato dalla moderna farmacopea, conferma pienamente la leggenda e il proverbio, ma
con questa differenza: invece che dannosa, viene ora considerata un’erba medicinale di grande
utilità.