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domenica 12 aprile 2020

ATTUALITÀ : CORONAVIRUS (COVID-19) • SANITÀ Coronavirus. Il racconto di Claudia, il medico «in Trincea»: «Difficile scegliere chi salvare». E l’appello: «Ricordatevi di noi anche dopo»

L'immagine può contenere: 1 personaVi invito a leggere questo racconto in un momento di pace, e poi riflettete.
Riflettete perché questo medico parla di scelte difficile da fare su chi deve tentare di curare e chi no; e questo perché negli ospedali mancavano gli strumenti necessari. Gli strumenti necessari, capite, quegli che lo Stato aveva finanziato ma mai acquistati perché delle persone malvagie, egoiste e con istinto criminale avevano deviato per le strutture, per privatizzare e per smembrare la Sanità pubblica.

É questo il problema tutto italiano che ha causato molte vittime.
É chiaro che in un contesto pandemico 5000 posti in terapia intensiva non sono nulla, e ci sono regioni che neppure sono dotate di questi strumenti.
Che volete che siano 5000 mila letti attrezzati per la terapia intensiva, su 60 milioni di abitanti, e contro i circa 28.600 posti della Germania, la quale nel caso la pandemia si fosse aggravasse potevano in poco tempo quadruplicare i posti letto di soccorso urgente.
Qualche domanda ce la dobbiamo porre se vogliamo acquisire una giusta consapevolezza generale, e magari anche sulle scelte elettorali da fare in futuro.
I beni di prima necessità, che sono diritti universali dell'umanità, intesi come Sanità, Istruzione, acqua potabile, e il diritto di vivere a contatto e dalla terra in cui si vive, non si toccano; mai dovrebbero finire nelle mani di gente privata senza scrupoli.
Impariamo almeno questi principi dall'esperienza che stiamo vivendo, e combattiamo con tutte le forze che nessuno mai venga a rubarci il bene comune.
dI Barolus Viginti


ATTUALITÀ : CORONAVIRUS (COVID-19) • SANITÀ
Coronavirus. Il racconto di Claudia, il medico «in Trincea»: «Difficile scegliere chi salvare». E l’appello: «Ricordatevi di noi anche dopo»
12 APRILE 2020 - 10:00
di Olga Bibus
«Oggi ci chiamate eroi, benissimo, però “segnatevala” questa cosa, poi ne riparleremo, quando ci sarà tempo», dice a Repubblica Claudia Gabiati, dottoressa del Fatebenefratelli di Milano
Coronavirus, la situazione in Italia in tempo reale – Ultime notizie
Claudia Gabiati ha 40 anni, è gastroenterologia, ha passato cinque anni in Pronto soccorso, altri sei in corsia, oggi lavora nella Covid Unit delll’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Affida il suo racconto alle pagine di Repubblica, dice che il Coronavirus «è velocissimo e cattivo», che le è capitato di dover «scegliere chi salvare», e ringrazia chi oggi plaude al suo lavoro, quello di tanti altri medici e sanitari, ma lancia un appello: «Ricordatevi di noi anche in futuro».
«All'inizio avevo paura – dice il medico – Ora no. Ti abitui alle regole di un ospedale in guerra, ti abitui al terremoto, a prendere una decisione al minuto». Tra cui quella più difficile: «Chi puoi salvare e chi no. Io l’ho fatto e devo conviverci ogni notte». «Marzo è stato il mese peggiore della mia vita, lottavamo contro l’invisibile. I letti in terapia intensiva non bastavano mai. E così capitava che dovendo scegliere tra un paziente 70enne, pieno di complicanze, e un altro che poteva farcela, sceglievi di intubare il secondo, lasciando andare il primo». Una decisione in cui ci si consultava tra colleghi, spiega la dottoressa, «ragioni, rifai i calcoli 100 volte, litighi. Ma alla fine decidi».
Il Covid, dice, «è un virus cattivo e velocissimo. In tanti anni non ho mai visto infezioni polmonari così. Chi dice che è simile a tante altre influenze non sa di cosa sta parlando. Ho visto pazienti che respiravano con qualche affanno e dopo un’ora non ci riuscivano più, completamente desaturati, in pericolo di vita». Il medico ammette che la difficoltà maggiore sta nel non sapere come combattere il virus, come curare i pazienti malati, quale farmaco funziona e quale no. «La realtà è che chi ha forza guarisce, chi non ce la fa, muore», spiega. Da due mesi, Claudia Gabiati lavora 15 ore al giorno, «durante il turno non mangi, non bevi, parli a gesti, se devi andare in bagno perdi mezz'ora a svestirti, quindi non ci vai». E quando torna a casa mantiene la distanza dal marito, dormono in letti separati, mangiano a un metro.
Ora però lei stessa vede un miglioramento: «Da una settimana il terremoto ha rallentato». Ma avverte: «La ricostruzione del mondo di prima sarà lentissima». Infine l’appello: «Ho visto dai telegiornali che ci applaudono dai palazzi. Mi ha commosso. Vorrei tenere questi applausi per il futuro e spenderli quando al Pronto soccorso ci urleranno e ci insulteranno. Oppure quando ai prossimi governi ci taglieranno reparti, ospedali, corsi di laurea. Specie qui in Lombardia dove per anni tutto è andato alla sanità privata e le briciole a quella pubblica. Oggi ci chiamate eroi, benissimo, però “segnatevela” questa cosa, poi ne riparleremo, quando ci sarà tempo».

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