Il futuro a 5 Stelle

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Il futuro con il Movimento 5 stelle é un dono del cielo
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lunedì 10 giugno 2013

Graziano Mesina brucia la grazia e torna in carcere

Ma allora sei scemo scusa: ti hanno dato la libertà nonostante tutto, potevi vivere il resto della tua vita egregiamente omaggiato anche da considerazione forse immeritate, e ti vai ficcare ancora nei guai cercando di trarre guadagni facendo commercio di sostanze mortali...
Graziano Mesina Ex ergastolano al momento della scarcerazione quando gli fú concessa la grazia

Pensare male é peccato peró a volte ci si azzecca diceva una persona ...
..Graziano Mesina a limite avrebbe potuto puntare piú in alto, rilegarsi a un solo grado piú dei classici cazzoni senza scrupoli dei Pusher la dice grossa sulle possibili manipolazioni o trame a suo danno.
 É assodato ormai che chi gestisce il movimento grosso della droga siano menti raffinate che resta a dovuta distanza dalla stessa. Rimane il fatto però che "l'eroe" perdente del Supra-monte si sia lasciato coinvolgere magari come uno scugnizzo alle prime armi, o per lo meno la sua natura malavitosa continua prepotentemente a dare sfogo anche dopo quarant'anni di galera graziato dal peso di una serie di ergastoli e non meno di 150 anni di detenzione.
 La criminalità organizzata non va certo nei conventi Francescani per arruolare la manovalanza. Quale migliore rappresentante "degno di fiduccia" e con un curriculum non certo invidiabile come quello di Grazianeddu.

Certo che sarebbe interessante sentire le intercettazioni che lo hanno incastrato, almeno per annullare certi sospetti e dubbi che balzano alla mente dei lettori che piú o meno conoscono la storia dell'ex Bandito Graziano Mesina .
Mesina é anche famoso alle cronache per dire quello che pensa, non ha certo peli sulla lingua. Chi ha buona memoria ricorderà quando agli inizi degli anni novanta gli fu concessa la libertà vigilata, dal che approfitto per scrivere un libro sulla sua storia ( boicottato per ovvi motivi e mai entrato in commercio ) partecipava senza risparmiarsi a trasmissioni televisive e parlava, parlava e parlava forse a tal punto da infastidire e preoccupare gli stessi che lo avevano messo in libertà, dal che dagli stessi senza tanti spiegazioni gli fu revocata la libertà con la conclusione che lo definì ancora pericoloso socialmente.
Ci furono accuse e l'ombra del possesso di armi alla quale lui ha sempre respinto ogni accusa sostenendo che fú una trappola per punire la sua inarrestabile logorrea.

Oggi la storia si ripete: Mesina pare si goda un pó troppo la libertà, gira la sardegna di lungo e in largo con salti sporadici nel continente, partecipa anche ad occasioni sociali e culturali importanti, tesse amicizie e fa nuove conoscenze, frequenta vecchi colleghi di avventure e di detenzione, figure poco raccomandabili.
Mesina controllato a sua insaputa fa sorgere ulteriori dubbi: possibile che questo non si rendesse conto che un'ex ergastolano se pur graziato dall'ex presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, in libertà rimane sempre sotto l'occhio vigile, anche se non invadente, delle forze dell'ordine.
Mesina  irriducibile dunque!?
Mesina non ha perso il vizio di dire quello che pensa: parla ovunque vada, a volte minaccia, fa risaltare la sua personalità, il suo carisma, la sua fama;  la sua vivace spavalderia é nota sin dai tempi che inizio la sua incredibile carriera da Bandito temuto, rispettato e imprendibile. Nella sua carriera la primula rossa del supramonte conta una decina di evasioni da manuale e altrettante fallite, diventa un mito; si ritiene piú bravo delle forze costituite nel gestire situazioni difficili (tipo il sequestro di Faruk Hassan) dove venne incaricato per mediare con i banditi capeggiati da Matteo Boe, che rivendicò quasi spavaldamente i meriti sulla liberazione del bambino di origini arabe a cui da lo stesso Matteo Boe tagliò il lobo dell'orecchio spedito poi alla famiglia affinché pagasse il riscatto.
Tutto questo per la cronaca ufficiale, quella conosciuta.
É certo che ora con questo nuovo fatto e le pesanti accuse Mesina, 71 anni, perde anche quell'alone misterioso che lo rendeva un mito, una sorta di bandito buono, un specie di Robin Hood nostrano e ruspante.
Con le mani sporche di Droga si spegne dunque, ovvero si dissolve anche quel febbrile lato che lo rendeva ancora uomo d'onore, l'ultimo "balente" per la cronaca isolana, guerriero in un sistema rurale dove le ingiustizie sociali da combattere erano all'ordine del giorno.
Mi domando peró che non sia casuale ogni volta che Graziano Mesina parla e partecipa ad eventi importanti diventi socialmente pericoloso?
Mi auguro dunque per il diritto di essere informati, che tutta la vicenda sia resa pubblica e trasparente onde levare a tutto campo quel sospetto che aleggia nell'opinione pubblica, ovvero Mesina é colpevole in che misura: consapevole,  usato, raggirato o vittima di una trappola fatta su misura per incastrarlo e punirlo per il suo "vizio di parlare troppo"??




lunedì 17 settembre 2012

Vertice delle forze produtive della Sardegna...la rivoluzione prende corpo in sardegna!

http://livestre.am/48GTi

Copiate e incollate per diffondere questo documento relativo alla rivoluzione Sarda. Come al solito la stampa uffIciale non scrive una sola riga sul vertice; FATELO VOI TUTTI, invitate e partecipate alle future manifestazioni di ottobbre. Non partecipate!!?? Ve bene! Non lamentarti poi se avrai di che bestemiare perché la solita politica che mette in ginocchio il sistema produttivo nella tua terra.
Condividi e divulga, Grazie!!

venerdì 14 settembre 2012

Questa è la mente operativa dietro all'Alcoa. La stessa azienda che l'11 settembre 1973 diede il via al golpe in Cile.

Fonte articolo:Libero pensiero  11Settembre2012


di Sergio Di Cori Modigliani


Lasciamo perdere le commemorazioni e le piatte rimembranze retoriche e passiamo subito al sodo che ci interessa, oggi e a casa nostra.

 

Parliamo dunque dell’Alcoa e di Portovesme in Sardegna.

Di conseguenza, parliamo di scelte strategiche militari e di investimenti di speculazione finanziaria sui derivati nelle commodities del settore minerario.

Quella che si sta combattendo in Sardegna è guerra vera, ma non lo dicono.

Quando parlo di “guerra vera” intendo dire carri armati, bombardieri, ecc.

E di un flusso di cassa permanente di soldi per la criminalità organizzata.

Una brevissima pausa tanto per ricordare quel martedì atroce dell’11 settembre.

Non quello delle torri gemelle nel 2001.

Bensì quello del 1973, quando la Alcoa, la Enron, la ITT e la Citicorp diedero il via definitivo ai fascisti cileni per impossessarsi del potere in Sudamerica con la violenza. Avevano bisogno del controllo economico e finanziario di tutta la produzione estrattiva delle miniere di rame in Cile, del controllo della produzione di alluminio, carbone e zinco nella zona tra Il Cile, il Perù, l’Uruguay e il Paraguay. Fu quella la ragione e il motivo.


39 anni dopo la Alcoa sta di nuovo in prima fila nella gestione del riassestamento strategico delle sue aziende.

L’ufficio operativo marketing europeo nacque e si costituì a Milano, nel 1967, e da lì, grazie all’appoggio dei ceti più  conservatori della politica italiana, iniziarono a tessere le fila per il golpe in Sudamerica nei primi anni’70, come tonnllate di documenti hanno ampiamente provato da decenni.

Ho ritenuto opportuno, oggi, quindi, spiegare chi sia la Alcoa.
Chi la dirige, chi la gestisce. Chi c’è dietro.
Per comprendere che non si tratta di una “normale” battaglia sindacale.

Si tratta del nuovo scenario dell’oligarchia finanziaria planetaria da applicare all’Azienda Italia  per affossare definitivamente il paese.
Dietro l’Alcoa c’è la Citicorp che ne gestisce la finanza in un fondo creativo il cui management operativo è affidato al nucleo di Black Rock Investment, garantito da Royal Bank of Scotland e amministrato, in ultima istanza, dal quartiere generale di Goldman Sachs (è tutta robbetta ricavata da files pubblici gentilmente offerti nel 2010 e nel 2011 dalla ditta wikileaks di Julian Assange) che in questo 2012 sovrintendono, gestiscono e stabiliscono gli investimenti produttivi nel settore energetico nel pianeta.
Ecuador, Bolivia, Uruguay, Islanda, Australia, Spagna, Italia.
Queste sono le nazioni “strategicamente” più interessanti per Alcoa negli ultimi 10 anni.
Queste sono le nazioni nelle quali, nell’ultimo triennio, Alcoa ha avuto dei seri guai (oltre che perdere ingenti profitti ai quali erano abituati).
Nelle prime quattro nazioni il problema è stato risolto dai governi locali e vi spiegherò come. In Australia è stato affrontato e risolto dal Commonwealth in 36 ore tra il 28 e il 29 giugno del 2012, evitando una pericolosa crisi politica britannica venti giorni prima dell’inizio delle olimpiadi. In Spagna e in Italia (considerate ormai in tutto il mondo le due nazioni più conservatrici, più arrese, più arretrate dal punto di vista politico, completamente commissariate dai colossi finanziari) è stata scelta la linea colonialista, sapendo che in Italia e Spagna, in questo momento, è possibile fare tutto ciò che si vuole perché non esiste nessuna opposizione reale, avendo cancellato l’esercizio dell’informazione giornalistica.

Nessuno spiega chi è Alcoa, che cosa fanno, che cosa vogliono da noi, e perché se ne vanno via, dove, come, a fare che.
La prima botta per Alcoa è venuta dall’Islanda.
I guai per Alcoa (si fa per dire) iniziano in Islanda, agli inizi del 2007, quando un esponente del partito socialista islandese, membro della commissione salute e sanità del parlamento islandese,  Helgi Hjorvar, fa una interpellanza parlamentare contro Alcoa sostenendo che “sta ottenendo sovvenzioni statali grazie alle quali ha assunto il totale controllo dell’erogazione di energia elettrica nella nostra isola praticando un prezzo ai consumatori dell’850% superiore a quelli di mercato e a quelli praticati in altre nazioni”.  Da lì nasce una tremenda querelle che porterà poi Alcoa, prima a scusarsi, poi a patteggiare e infine, travolta dallo scandalo di corruzione delle multinazionali emerso in seguito al default islandese, a pagare un dazio e poi scappare via.
Ma pochi mesi dopo, alla fine del 2008 arriva la botta dell’Ecuador. Il nuovo governo di Rafael Correa fa arrestare l’intero management di Petroecuador attaccando per corruzione internazionale la società svizzera Glencore, sì proprio quella che la cupola mediatica italiana sostiene oggi sui media blaterando “c’è un cliente interessato all’acquisto”, è proprio quella che –toh guarda caso- è però la stessa azienda; perché, attraverso incroci azionari, rispondono entrambe all’interesse della Citicorp di New York. Fernando Villavicencio, esperto sudamericano a Quito di analisi finanziarie, rivela come e perchè l’azienda locale di Alcoa e Glencore,  a Quito, sia stata nazionalizzata e l’azienda buttata fuori dal marketing operativo. Il tutto dopo che in data 9 Febbraio 2007, in Bolivia, il presidente Evo Morales aveva dichiarato “insostenibile” il monopolio di Glencore e Alcoa nel settore argento, oro, zinco, alluminio attraverso la “Empresa metalurgica Vinto” nella regione di Oruro e la Sinchi Wayra (capitale finanziario Deutsche Bank e Citicorp)  grazie alla corruttela dei precedenti governi, i cui esponenti sono finiti in galera. Nella stessa data, il parlamento boliviano vara un decreto legge in virtù del quale confisca le aziende di Alcoa e Glencore senza alcun indennizzo,  nazionalizza le dodici aziende minerarie, e le espelle entrambe dal paese vietandone l’accesso al mercato. Da notare che il presidente della Glencore (uno degli uomini più ricchi al mondo) Marc Rich, è stato indagato in Usa per truffa, aggiotaggio, riciclaggio, sottoposto ad auditing davanti al Senato Usa nel febbraio del 2001 in diretta televisiva, processo concluso in maniera negativa sia per Rich che per la Glencore che per la Alcoa, ritenute colpevoli.  La sentenza definitiva venne stabilita per il successivo aprile. Ventiquattro ore prima della notifica, il presidente George Bush intervene personalmente (potendolo legalmente fare) chiedendo, pretendendo e ottenendo un “perdono giuridico del Congresso” in quanto tali aziende erano costrette a non rivelare la “vera natura del proprio business operativo essendo coinvolte in attività di natura strategica militare coperte dal segreto di Stato”. Il presidente garantì per loro.  Nel 2005 l’interpol fa arrestare l’intero management di Glencore, di Alcoa e di African United Mines company nella Repubblica del Congo per riciclaggio internazionale di capitali, aggiotaggio e associazione con membri della criminalità organizzata legata ai cartelli narcos colombiani.  E’ tuttora aperta la vicenda nella Repubblica dello Zambia, nella regione di Mopani, dove, approfittando della corruzione dei governanti locali le miniere vengono gestite senza rispettare alcuna norma di sicurezza o di rispetto ambientale. Come l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivelato in un documento ufficiale presentato a Ginevra da Greenpeace in data 2010, in Zambia, “nella zona prospiciente la regione di Mopani, cinque milioni di persone rischiano la vita in seguito a piogge acide, all’avvelenamento di tutta la falda acquifera dato che la popolazione beve acqua non sapendo che essa non è potabile perché contiene una percentuale di piombo e alluminio superiore del 6.000% al livello massimo di rischio: sono tutte condannate a morte”.  L’inchiesta è ancora lì.

In Paraguay, il vescovo Lugo, in quanto presidente regolarmente eletto, in data marzo 2012 aveva annunciato che avrebbe confiscato le miniere di Glencore e di Alcoa nel giugno del 2012 dando loro la possibilità di iniziare un piano di disinvestimento progressivo. Un mese dopo c’è stato il suo defenestramento sostituito da un governo tecnico che ha abolito il decreto affidando alle due aziende il controllo delle miniere del paese.
E così nel 2012 la Alcoa  stabilisce che il quadro internazionale sta cambiando e decide di “spostare strategicamente tutte le attività estrattive, produttive e commerciali dal Sudamerica, Europa e Australia nel libero territorio dell’Arabia Saudita”  paese medioevale dove c’è la possibilità di avere a disposizione mano d’opera che lavora quasi gratuitamente.  Secondo il management dell’Alcoa c’è la opportunità di concentrare tutta la produzione mondiale di minerali fossili in Arabia Saudita con un prezzo di produzione minimo in modo tale da poter avere il monopolio nel mondo. E quindi dettare legge.
In Spagna (dove si trova la più grande azienda in Europa) gli va di lusso.  Attraverso le sue consociate finanziarie, il gruppo Citicorp possiede pacchetti azionari di Caixa Bank, Banco Santander, Bankia e Banco Hispanico e quindi controlla il sistema finanziario delle banche erogatrici di credito a tutto il comparto dell’indotto nella provincia dell’Andalusia. 50.000 famiglie finiscono tutte sul lastrico per la chiusura delle miniere, alle quali vanno aggiuntre circa 2.000 micro aziende dipendenti, che porteranno la Andalusia a dichiarare default nell’agosto del 2012 chiedendo l’intervento dello stato centrale.
Ma è in Australia che gli va male, ragion per cui sceglie e opta per la chiusura in Italia.
Avviene tutto nel giugno del 2012 quando Alcoa decide di chiudere le miniere nel Queensland, licenziando 2.000 persone che coinvolgono altre 3.600 persone operative nell’indotto. E qui c’è la sorpresa, a dimostrazione che –quando esiste la volontà politica, l’informazione e l’intelligenza- c’è sempre una possibilità di uscita. La Alcoa comunica che chiude le sue miniere e si trasferisce in Sudafrica. 48 ore dopo, il gruppo wikileaks australiano di Julian Assange inonda la rete australiana con notizie, informazioni (e trascrizioni di conversazioni tra diplomatici americani, inglesi, arabo-sauditi, italiani) relative soprattutto all’attività di un tedesco considerato un grande genio, Klaus Kleinfeld, la mente dietro Alcoa, l’uomo la cui immagine vedete qui in bacheca. Nato nel 1957 si laurea a pieni voti nella prestigiosa università di Gottinga e poi prende anche un dottorato di ricerca nell’università di Wurzburg in “amministrazione gestionale di aziende multinazionali” e inizia presto la sua attività, prima come consulente finanziario per Goldman Sachs nei primissimi anni’80 e poi a Duisbrug, Wiesbaden e infine a Francoforte, come responsabile degli investimenti finanziari in Europa per conto del gigante statunitense Citicorp. A metà dergli anni’90  entra in Alcoa diventando presidente dal 1996  al 2001, gestendo in prima persona “l’operazione Italia di Portovesme” (dal punto di vista finanziario) prima con l’accoppiata Romano Prodi/Massimo D’Alema nel 1996 e 1997 e poi con l’accoppiata Silvio Berlusconi/Ignazio La Russa nel 2001. Dopodichè viene inviato in Usa dove diventa amministratore delegato della Siemens tedesca, gigantesca multinazionale strategica in campo militare e delle telecomunicazioni. Ma in Germania iniziano le contestazioni contro di lui all’interno del mondo imprenditoriale per i suoi modi autoritari e per l’indecoroso trattamento degli impiegati e degli operai tedeschi nelle fabbriche tedesche. Per anni, Kleinfeld è al centro del mirino della stampa tedesca finchè non finisce indagato, accusato di corruzione, abuso di potere e addirittura “atteggiamento autoritario e lesivo della dignità umana dei propri dipendenti” ed è costretto a dimettersi nel 2007, scomparendo nel nulla (ovvero, rientrando come consulente operativo finanziario dentro Citicorp).
Alcoa in Italia nasce nel 1967 a Milano quale ufficio di rappresentanza e commerciale per la gestione delle vendite di materiale di produzione statunitense ed europea alla clientela italiana e del Bacino Mediterraneo. Ma Kleinfeld gestisce, insieme a Citicorp e Goldman Sachs, l’acquisizione della ALUMIX (gruppo EFIM) di proprietà dell’Italia; un’operazione gestita da Prodi e D’Alema che consegnano nelle mani del consorzio Citicorp e Goldman Sachs un pezzo strategico fondamentale per la sovranità e l’indipendenza nazionale senza aver mai fornito dettagli sull’operazione.  Alain Belda (personalmente scelto da George Bush, Dean Rumsfeld e Dick Cheney) nel 2001 diventa presidente della Alcoa e chiude un accordo con il governo italiano prima nel 2002 (Berlusconi/La Russa) poi di nuovo nel 2007 (Prodi/D’Alema) e infine il più succoso in assoluto quello del 2009 (Berlusconi/La Russa)  che consente alla Alcoa di godere di sovvenzioni governative come “rimborso relativo all’uso dell’energia elettrica” per un totale di 2 miliardi di euro nel 2009, più 1 miliardo e mezzo nel 2010 che raggiungono i 4,5 miliardi di euro nel 2011, a condizione di “garantire l’occupazione permanente e il prosieguo dell’attività produttiva nel territorio sardo”. Quei soldi, in verità, sono finiti nella Citicorp, investiti nei derivati finanziari. Neanche lo vendono l’alluminio: lo producono, lo accatastano, lo immagazzinano e lo danno in garanzia per avere soldi da investire in derivati speculativi.
L’Italia è stata una pacchia per gli speculatori, soprattutto tra il 2007 e il 2011, perché attraverso la malleveria politica ogni multinazionale e grossa azienda –con scusanti varie- si è appropriata di ingenti risorse dello stato centrale (cioè i nostri soldi) per investirli poi a Londra, New York, Francoforte, Honk Kong.
Ma i profitti lucrati non sono mai rientrati in Italia.
Neppure un euro.
Come dicevo sopra, nel giugno del 2012 Alcoa decide di chiudere in Australia “rompendo” il consueto patto: mi dai sovvenzioni statali e io ti garantisco piena occupazione nel settore. Ma in Oceania, la manovra non passa. Fa da ariete Julian Assange (e wikileaks) da due giorni finito dentro l’ambasciata dell’Ecuador, e in Australia monta il dibattito su Alcoa. Perché sul web australiano, sui blogs e sulla stampa mainstream cominciano a comparire valanghe e fiumi di notizie sulla Alcoa, sulla Glencore e sulle loro attività finanziarie. Il primo ministro australiano interviene e risolve il tutto in tre giorni. Telefona alla regina Elisabetta e le dice “Maestà, se queste 4.000 famiglie verranno buttate in mezzo alla strada, riterrò politicamente responsabile la Corona d’Inghilterra e lei personalmente ne trarrà le conseguenze. Sulla base del nostro diritto io denuncio quindi la questione al Commonwealth, pretendendo un’aperta discussione anche all’interno del parlamento britannico a Londra”. Lo fa anche per iscritto. Invia una lettera a Elisabetta (bypassando David Cameron) ma la copia la invia anche ai responsabili del Partito Laburista Britannico (i partiti servono, eccome se servono; il problema non sono i partiti, in Italia, ma la qualità delle persone che li compongono, il che è un altro dire) i quali si incontrano con la regina e risolvono la questione in un semplice colloquio, peraltro informale. La Legge britannica obbliga la regina a non mettere bocca su quello che fa il suo primo ministro (a meno che lei non lo sfiduci) ma il primo ministro non si impiccia del Commonwealth che la Corona sovrintende (Canada, Australia, Bahamas, Bermudas, ecc.). Il ministro degli esteri inglesi viene avvertito e invitato a chiedere alla Merkel che intervenga; evento che si verifica. Kleinfeld viene raggiunto e viene chiuso un nuovo accordo. La  Corona mette subito 40 milioni di sterline per pagare gli stipendi dei minatori per due mesi e nel frattempo garantisce che la Alcoa rimane lì e seguiterà a produrre, oppure, nel caso se ne voglia andare, restituisce i soldi che ha avuto e la Corona d’Inghilterra si fa garante, oltre a farsi carico della spesa di riconversione, assumendosi la responsabilità di avere a suo tempo dato il via all’operazione.
Trovate tutto il racconto sul sito (per gli amanti dei link) news.ninemsn.com.au

Perché non farlo anche in Italia?

L’Alcoa o rimane (e ringrazi il cielo) oppure deve restituire i soldi che ha avuto, li deve restituire subito, cash really cash, sufficienti a garantire la tenuta dell’occupazione e riconvertire con un abile piano industriale la zona rilanciando lavoro e occupazione. Si tratta di circa 8 miliuardi di euro, praticamente una manovra economica.
Lo sapete che non esiste una fattura, un bilancio, una documentazione, una ricevuta di quei soldi?
Lo Stato italiano per anni ha dato i soldi dei contribuenti a un’azienda gestita da una pattuglia  che rispondeva agli ordini di Dean Rumsfeld (ex ministro della Difesa Usa) uomo costretto alle dimissioni in Usa e scomparso nel nulla per pudore, e assiste passivo e silente dinanzi a ciò che sta accadendo?
Perché i sindacati non raccontano la storia vera di Alcoa?
Perché i sindacati non raccontano chi c’è e c’è stato dietro Alcoa?

Corrado Passera sostiene che c’è “un interesse” di Glencore. Ma questa è un’azienda finanziaria che si occupa di investimenti su derivati, l’uno è il braccio dell’altro: che cosa fanno? Un ufficio vende la propria azienda a un’altra stanza dello stesso ufficio?
Ci avete presi per deficienti cerebrolesi?

Il sole24 ore poi viaggia su un delirio da cupola mediatica: “c’è un forte interesse da parte di un’industria svizzera, la Klesh”.

Peccato che anche questa sia una società finanziaria della Citicorp, gestita da Goldman Sachs, già operativa dentro la Alcoa, ex socia di Halliburton, Enron e Pimco Pacific insieme al vice-presidente Usa Dick Cheney, gestita da un management “discutibile” dato che l’intero consiglio amministrativo è composto da individui indagati, denunciati, alcuni condannati per riciclaggio, aggiotaggio, violazione delle norme fiscali, retributive e associative, tra cui falso in bilancio, coinvolti in continui scandali finanziari.

In Sudamerica stanno cercando di liberarsi di questa gente. Quando e se possono, li sbattono fuori dal paese, o li mettono in galera.
In Australia, il governo è intervenuto subito coinvolgendo tutta la city di Londra, minacciando sfraceli. Ha ottenuto un risultato in 48 ore.
E in Italia?

I lavoratori della Alcoa hanno il sacrosanto diritto di combattere per la salvaguardia del loro posto di lavoro, che era stato garantito  da accordi inter-governativi di tipo militare.

Ma hanno il dovere civico di chiedere ai sindacalisti “ragazzì….com’è sta storia della Alcoa?” e pretendere da loro che raccontino chi c’era dietro, quali accordi hanno stipulato, quali erano le garanzie reciproche, pretendere l’esibizione di tutta la regolare documentazione dello scambio tra Alcoa e governo, con nomi e cognomi, date e cifre. Se era legale, dovrebbe essere tutto documentato. Se non è documentato, allora vuol dire che non è legale e il Diritto consente di sequestrare gli impianti come si fa con la mafia.

Soprattutto pretendere che si sappia che cosa c’è dietro, oggi, adesso. Ora.

Nella Guerra Invisibile, la battaglia per il controllo delle risorse energetiche è fondamentale.

Gli operai sardi devono chiedere “Perché l’Alcoa chiude, adesso? Dove sono andati a finire i miliardi di euro che hanno ricevuto? Che cosa hanno dato in cambio?”

Ma soprattutto avere il coraggio civile, e civico, di chiedere “A chi hanno dato in cambio qualcosa? Quando? Come? Quanto?”.

Perché di questo si tratta.

Ecco il vero volto dell’attuale governo in carica: gestire e pilotare la crisi per spingere all’angolo della disperazione sociale chi lavora e poi presentarsi e dire: “o finite in mezzo alla strada oppure vi possiamo salvare vendendo questa azienda a Mr. Pinco Pallino perché noi siamo buoni” obbligando la gente (e le aziende) ad accogliere a braccia aperte Mr. Pinco Pallino senza sapere chi diavolo sia. Così entra la criminalità organizzata, e così penetrano le società finanziarie, il cui unico, dichiarato scopo, consiste nella de-industrializzazione delle nazioni.

Vogliamo sapere le condizioni di vendita all’Alcoa scritte nel 1996. Chi stabilì allora il prezzo? Quali parametri vennero usati e applicati?
Vogliamo sapere quali condizioni e postille e clausole c’erano negli accordi strategici sottoscritti dal governo nel 2001, nel 2007 e nel 2009.
Vogliamo sapere come sia possibile che l’Italia nel 1992 era tra le nazioni leader al mondo nella produzione di lingotti di alluminio e adesso è sparita dal mercato.
Coloro che hanno gestito queste manovre sono le stesse persone che oggi pretendono di guidare il presupposto cambiamento.
Stanno tutti in parlamento.
E voi vi fidate di gente così?

“Devono andare tutti alle isole Barbados”.
Fonte articolo Libero pensiero   

martedì 28 agosto 2012

Voglia di Indipendenza

Sa Defenza
Sa Defenza.. приятно sardinia: Se un popolo non conquista la sua indipendenza politica non può essere soggetto della sua storia, ma resterà ai margini della storia di quella nazione che lo avrà vinto e dominato." (Antonio Simon Mossa) Il coraggio appartiene a quelli che agiscono per ciò che è bene e giusto, nel momento in cui è necessario, senza calcolare le conseguenze in cui incorrono. (Marc Levy) Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario (George Orwell)



Indipendenzia


Indipendenza non vuol dire fare a meno delle istituzioni, del servizio pubblico. Indipendenza significa rafforzare il servizio pubblico sul territorio e gestirlo secondo le priorità locali senza condizianementi esterni. Indipendenza vuol dire più poteri decisionali ai comuni. Indipendenza vuol dire distribuire le risorse equivalenti ai meriti, ai doveri, ai diritti senza discriminazioni sociali. Indipendenza vuole dire tutela rigorosa del marchio DOC. Indipendenza vuol dire difesa del territorio cominciando con il controllo meticoloso delle frontiere. Indipendenza vuol dire continuità terrotoriale e scambio commerciale senza imposizioni in un mercato sano, libero, pulito. Indipendenza vuol dire servizio d'ordine che non manganelli i disoccupati che manifestano. Indipendanza vuol dire che non debbono decidere a Roma le politiche locali. Indipendenza vuol dire tante altre cose ma se manca la forza di volontà, la voglia di fare da soli invece di aspettare il piatto servito la Sardegna rimarrà per sempre Colonia dello Stato italiano con tutti i suoi risvolti negativi a danno del popolo Sardo.

Abbiamo una storia da raccontare e un territorio da difendere. Abbiamo una cultura profonda e delle tradizioni da tutelare. Abbiamo un'estensione territoriale di rara bellezza unica al mondo da condividere con il mondo in giusta e razionale misura.
Perché aspettare ancora: Forza gente de Sardigna, S'ora Este arribada...... 



Di Barolus

http://sadefenza.blogspot.de/2010/11/viva-la-sardegna-indipendente.html

mercoledì 15 agosto 2012

Giganti in Sardegna: mito o vera scoperta? Indagine giornalistica.



Perché non si sa piú nulla dei reperti trovati? Perché nessuno ne parla? Cosa c'é da nascondere per non dare spazio a degli studi mirati e magari divulgare i risultati in modo trasparente?

giovedì 1 marzo 2012

Perché nessuno parla di Rossella Urru?


DIFFONDIAMO QUESTO VIDEO NELLA SPERANZA CHE ROSSELLA URRU TORNI PRESTO A CONDURRE UNA VITA NORMALE INSIEME ALLA GENTE CHE AMA.

martedì 28 febbraio 2012

La Sardegna di Cappellacci servile e sottomessa al regime affonda sempre di piú: per quanto ancora?

Fotovoltaico a Narbolia
Questo tipo di progetti devono essere ideati e realizzati dai Sardi dopo avere verificato la sostenibilità Geologica ambientale . Fino a quando gli appalti vengono accaparrati da ditte o società esterne alla Sardi e in particolare ai cittadini dell'aria interessata non rimangono che le briciole. Se ai Sardi non é conveniente perché accettare nel cedere il territorio e farlo sfruttare da individui che provengono dal continente. Sveglia Sardegna alziamo la testa!

Fiduccia cresce per Monti!!??
Se gli italiani hanno veramente fiduccia di Monti E IN PARTICOLARE NOI SARDI, lo si vedrà quando si andrà alle urne. A mio avviso é uomo del sistema vecchio e logorato, gli italiani hanno bisogno di voltare pagina in tutti i sensi, Monti non é la persona giusta per questo, almeno fino a quando non prende le distanze dal sistema politico corrosivo che impedisce all'Italia di crescere, e dia un segnale forte nella lotta contro la corruzione a tutto campo. Inoltre non deve dimenticare che esistono fasce sociali che hanno bisogno di piú attenzione da parte delle istituzioni e deve prodigarsi nell'abbattere gli ostacoli che impediscono ai piú deboli di realizzarsi o di vivere un'esistenza piú degna. Non c'é democrazia senza uno Stato sociale forte ed equilibrato.
Gli italiani "assorbono" la manovra Cresce ancora la fiducia in Monti - Repubblica.it
www.repubblica.it
Il passaggio prima del decreto fiscale e poi delle liberalizzazioni, quindi la strada in salita, ancora da percorrere fino in fondo, della traduzione in leggi della manovra hanno fatto oscillare ma non indebolito il governo agli occhi degli italiani. Anzi, in particolare per la figura del

giovedì 30 giugno 2011

Mazzata di Tramonti contro la Sardegna

Dopo la mancata consegna dei fondi Fas sin dal 2008, un'altra mazzata si abbate sulla Regione Sardegna: Tremorti taglia ancora un miliardo di Euro da consegnare a comuni, provincie e Regione. Sarebbe dunque opportuno chiedersi come reagirá Cappellacci, e come reagiranno i Sardi diffronte alla volontá del governo di Roma di vedere la Regione Sardegna ulterormente in ginoccchio e messa a dura prova da scelte che agravano la  giá tartassata economia isolana.
http://lanuovasardegna.gelocal.it/sardegna/2011/06/30/news/tremonti-taglia-un-miliardo-alla-sardegna-4526601