Leggo i giornali, ascolto la radio, sbircio, tra una cosa e l’altra, qualche frammento video sulla rete, evitando sistematicamente la tv, per non sentirmi peggio di quanto non mi senta. Ovunque imperversa lui, il Silvio Magno, come l’ha chiamato qualcuno. Il neoduce. Il cavaliere con macchia e, direi, sempre più, con paura. Più ha paura, più si agita; più teme di essere disarcionato, magari dalla classica congiura di palazzo, e più mostra i denti, e arma i pretoriani; eppure qualcuno dovrebbe spiegargli che proprio tra i pretoriani si sono sovente annidati i tirannicidi; e che per ogni Cesare, v’è un Bruto in agguato. Ma no, lui non arretra. “Lui è un combattente”, dicono i suoi fedelissimi. “Lo hanno dato per spacciato decine di volte e lui si è sempre rialzato e ha piegato gli avversari”: quelli esterni e quelli interni, persino oggi forse più pericolosi. E ancora: più paventa la fine biologica, e più si copre di belletto; più è senza argomenti, e più alza la voce; più è disperato, e più allarga la forbice del suo falso sorriso, che diventa sempre più un ghigno inquietante.
Lui, ossia il Signor Denaro. Se c’è una fisicizzazione del Dio Denaro, essa si incarna per l’appunto in Silvio Berlusconi. Il denaro. Ieri, leggevo a lezione (tengo un corso su Marx politico, quest’anno), brani dai
Manoscritti economico-filosofici del 1844, un testo di eccezionale densità teorica, ma anche di rara bellezza. Si tratta del Marx definito “umanista”, il Marx che propone un affascinante “comunismo critico”, e che si intrattiene, in poche pagine di sconvolgente capacità evocativa, sugli aspetti essenziali della società capitalistica. E mentre le leggevo agli studenti in aula, commentandole, mentre da un lato eravamo tutti suggestionati dalla forza di quelle analisi, e dalla pienezza di quel pensiero, dall’altro, inevitabilmente sorridendo, abbiamo visto in controluce qualcosa e qualcuno che è il nostro schifoso presente.
Che scriveva dunque un Karl Marx ventiseienne? Coglieva nel denaro e nella proprietà privata gli elementi corruttori della società capitalistica, i suoi peccati originali, le sue malattie organiche, alla lunga mortali. La proprietà privata “ci ha reso così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, ecc., in breve quando viene da noi usato”. Basterebbe già questa folgorante proposizione a darci un’idea di come si ponesse quel giovane davanti alla realtà della sua epoca, che, a ben vedere, per tanti aspetti, certo per questi, non è diversa dalla nostra.
Veniamo al denaro. Nella società capitalistica esso fa e può tutto: può anche l’impossibile, può rovesciare i naturali rapporti tra le cose. Esso trasmette il suo potere dirompente a chi lo possiede, quasi in un processo di osmosi, in una perenne metonimia. “Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere”. Ciò che il denaro è, si trasfonde nel suo possessore. Il quale così pensa secondo Marx: “Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio”. E, in un crescendo formidabile, ecco la presentazione di dinamiche e figure che allora come oggi, sono centrali, ben note, nel panorama in cui ci è dato vivere. “Io sono un uomo malvagio, disonesto, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi la possiede?”. E Marx argomenta, aggiungendo, a noi che lo leggiamo oggi, sale sulle nostre ferite: “costui [lo stupido ricco] potrà sempre comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?”.
Insomma, il denaro ha un potere miracoloso: trasforma ogni umana deficienza nel suo esatto contrario. Gli stupidi diventano intelligenti; i brutti, bellissimi; i malvagi, buoni; i disonesti, individui di specchiata onestà. Esso, il denaro, è dunque una potenza, ma una “potenza sovvertitrice”. Esso fa studiare il giovane che è ricco anche se non ha passione; consente di viaggiare al borghese che non ne ha bisogno o desiderio; consente al vile di diventare coraggioso “comprando” il coraggio…
Insomma, esso trasforma la rappresentazione in realtà e viceversa. Sovverte i valori, rovescia la realtà, aliena l’umanità; “confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l’inversione di tutte le qualità naturali ed umane”. E precisa ancora: “Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l’intelligenza in stupidità”.
Come non pensare al cavalier Berlusconi Silvio, e alla sua arroganza che ritiene di potere tutto comprare? Come non rivedere l’esercito di figuranti da lui assoldato, ossia comprato grazie al potere del denaro, nella magica piazza prestabilita da “un milione” di persone del 20 marzo a Roma? Come non rivedere come in un crudele piano-sequenza filmico i volti degli “avvocati del premier”, come vengono chiamati: da Previti a Pecorella, fino all’ormai mitico Ghedini, che pare uscito da una riedizione dell’altrettanto mitica pellicola cinematografica
Frankestein junior? Come non pensare alle otto ville sarde? Alle dimore caraibiche? Agli appartamenti romani e milanesi? Ai casali toscani? Alla dimora-base di Arcore?
Come non avvertire in ogni gesto di quest’uomo la potenza devastatrice, la forza corrompitrice, il potere sovvertitore del denaro? E come non avvertire che questa potenza sta facendo il suo corso, e che in tanti anche senza bisogno di confessarlo, sentono che il denaro è la via più facile per ottenere la bellezza, l’intelligenza, l’onestà…? In fondo, il guasto maggiore del berlusconismo risiede in un dato; nel suo incarnare perfettamente l’essenza del capitalismo, e ora di un capitalismo particolarmente predatorio e cialtronesco.
Dietro la maschera grottesca dell’
homme qui rit, si rivela oggi sempre più nitidamente il cupo ondeggiare del caimano, che apre le fauci, sbatte la grossa coda, minaccia, muggisce. Non a lui, che certo non segue i blog di Micromega, e temo non legga le nostre parole, ma ai suoi tanti “collaboratori”, mi permetto di ricordare che seguendo la teoria marxiana del rovesciamento del rovesciamento, anche il potere sovvertitore del denaro può essere sovvertito e ribaltato. E che si può pensare, e magari realizzare, un mondo in cui si presupponga il rapporto dell’uomo con l’uomo, e con il resto dell’umanità, e la natura; un mondo in cui, cito ancora Marx, si potrà “scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia”. E così via. Un mondo nel quale essere se stessi, e non quello che il denaro ci consente di essere, camuffando, rovesciando, mistificando la verità effettuale delle cose.
In quel mondo, Gasparri forse troverebbe un ruolo come usciere delle Poste; Capezzone, garzone del barbiere; Bondi, apriporta di albergo; Cicchitto, guardiamacchine (ma con qualcuno che lo controlli; io l’auto, a uno così, non gliela lascerei); Maroni e Calderoli, lavavetri; La Russa, guardiano di notte (disarmato). Ora, nel mondo rovesciato dalla potenza sovvertitrice del denaro, sono esponenti “autorevoli” del ceto politico governativo. Il loro padrone, capo del governo; uomo che semina odia e parla d’amore; che blatera di riforme, ma pensa a controriforme; che teorizza la modernizzazione del Paese, ma pensa ai suoi affari privati… E così via. Sì. Il denaro sovverte l’ordine naturale delle cose, mistifica la realtà, rovescia i valori. Marx ha assolutamente ragione.
Angelo d’Orsi